Lorenzin nel Pd, Toccafondi in Italia Viva: i gay di partito non hanno niente da dire?

Giorni molto frenetici, nei palazzi del potere, tra scissioni e cambi di casacca. Ha fatto molto rumore l’addio di Renzi al Partito democratico, dando vita al suo, cucito addosso alla sua persona – per le malelingue, cucito addosso al suo ego – così come ha creato qualche imbarazzo l’ingresso di Beatrice Lorenzin nelle file del Pd. Sia ben chiaro: i percorsi politici e i ripensamenti, così come i riposizionamenti, sono legittimi. È possibile, nel corso della carriera politica di un personaggio politico, maturare posizioni diverse rispetto a quelle di partenza. È un fatto di evoluzione personale e di cultura democratica, se vogliamo. Non si dovrebbe giudicare, quindi, il passaggio in sé quanto valutare il percorso che lo ha determinato. Perché è questo che fa la differenza. La domanda che ci si deve porre, dunque, è la seguente: sono stati fatti i necessari passi avanti? Interrogativo che resta aperto, da adesso alla fine delle riflessioni che seguono.

Tra evoluzione e trasformismo

Beatrice Lorenzin, neoparlamentare del Pd

Una cosa, infatti, è l’evoluzione del pensiero. Una cosa, invece, il trasformismo politico – per altro, male antico della storia d’Italia. Un’altra cosa ancora, infine, è l’opportunismo che può nascondersi (e in alcuni casi anche in modo goffo) dietro ai cambi di casacca. Opportunismo che però non va visto solo in una parte sola. I matrimoni, infatti, sono come i divorzi: si fanno in due. E se qualcuno arriva nella tua casa politica e tu lo accogli, hai delle responsabilità che conseguono a certa accoglienza. Personalmente mi ha molto sorpreso il caloroso benvenuto da parte di Delrio e dello stesso Zingaretti all’ex ministra della Salute. Sì, quella Beatrice Lorenzin che ha avuto brillanti idee come il fertility day. Campagna già irricevibile di per sé, per il suo portato reazionario implicito, e gestita anche peggio. I big del Pd, insomma, reputano una risorsa chi vede nelle donne le future madri della nazione? Perché sarebbe, libri di storia alla mano, un’idea un po’ troppo a destra. Estrema.

Lorenzin nel Pd: contro “utero in affitto” e adozioni gay

E non è solo questo l’unico punto di criticità dell’ingresso dell’ex leader di Civica Popolare (la lista elettorale il cui logo ti faceva pensare a Sailor Chibiusa, per intenderci). Sì, perché tra le eroiche imprese della nuova arrivata tra le file dei dem c’è anche il sostegno al family day. «Come parlamentare sono vicinissima agli organizzatori» dichiarò, in pieno dibattito sulle unioni civili. «Sono favorevole a forme di regolamentazione che permettano a due persone dello stesso sesso di vivere la propria affettività, fare scelte comuni, avere protezioni» disse. «Ma il mio favore finisce laddove il meccanismo della stepchild farebbe rientrare dalla finestra quello che abbiamo fatto uscire dalla porta: l’utero in affitto e l’eterologa per le coppie omosessuali» insomma, anche lei avrà tanti amici gay. Ma…

Toccafondi, il paladino contro il “gender”

Gabriele Toccafondi, paladino antigender, è oggi renziano

E se Atene piange, Sparta non ride. Ricordate Gabriele Toccafondi, sottosegretario all’istruzione dai tempi del governo Renzi? Fu lui a bloccare la diffusione dei libretti dell’Unar contro le discriminazioni a scuola. La colpa di quei libretti era quella di introdurre la pericolosa ideologia del “gender” nelle nostre aule. In una lettera aperta al Sussidiario.net scrisse che «non serve urlare contro “la prevenzione della violenza di genere” […] ma chiarire una volta per tutte che la teoria del gender (decido io la mia identità sessuale) non è la lotta alle discriminazioni». Non solo: «In ogni caso» continuava «sono i genitori gli unici che devono conoscere e possono approvare ciò che a scuola viene insegnato o ciò che vi entra attraverso attività collaterali come libretti, video, corsi vari». Un bel mix di falsità, rimozione del problema, inesattezze e di ignoranza su chi decide cosa, nel mondo della scuola. Bene, questo signore oggi è nelle file dei renziani.

La componente Lgbt in Italia Viva

Il quadro politico in essere, dunque, vede la presenza nell’assetto istituzionale di due partitientrambi si dicono di centro-sinistra, uno si dice addirittura femminista – in cui alcuni elementi di punta si sono distinti per affermazioni e per azioni che non avremmo problemi a classificare come omofobe. Questi soggetti, tuttavia, sono accolti a braccia aperte nei rispettivi partiti. E se nel Pd si levano voci critiche, a partire da Monica Cirinnà, in Italia Viva non risultano – al momento – prese di distanza da questi personaggi. Italia Viva che, oltre ad essere “femminista” (tanta ilarità ha generato questa affermazione proprio nella galassia del femminismo), ha una presenza Lgbt di peso, al suo interno. Da Ivan Scalfarotto, renziano di ferro, fino a Paola Concia, che arriverà in Consiglio comunale a Roma dopo le dimissioni di Giachetti e che, secondo l’Ansa, «potrebbe confluire nel Misto come espressione di Italia Viva».

Italia Viva poco coerente con l’agenda Lgbt+

Ivan Scalfarotto, renziano della prima ora

Certo, conosciamo tutti e tutte le peripezie politiche delle pattuglie Lgbt interne ai partiti. E proprio i due esponenti appena nominati, non si distinguono certo per coerenza con l’agenda arcobaleno nel nostro Paese: Ivan Scalfarotto, ricordiamolo, scrisse una legge contro l’omofobia che di fatto la rendeva lecita (per non parlare di certe strette di mano, in Iran). E Paola Concia da qualche anno a questa parte è stata particolarmente attiva a firmare lettere aperte e documenti contro l'”utero in affitto”, esprimendo vicinanza a realtà in rotta di collisione con il movimento Lgbt+ (come ad esempio Arcilesbica). Ci sarebbero anche altri nomi, ma mi soffermo sui più “altisonanti”. Vale, in ogni caso, proprio quanto detto sopra: i matrimoni si fanno in due. E se in casa ti arriva un personaggio politico con una sua storia, è nell’interesse della tua credibilità prenderne le distanze con atti chiari e inequivocabili.

Il bisogno di voci controcorrente

Il discorso, tuttavia, non riguarda solo Italia Viva. Il Pd resta ancora quello della legge regionale in Emilia Romagna, passata contro i padri gay. E quello delle unioni civili. Passate sulla pelle dei bambini e delle bambine delle famiglie arcobaleno. Ed è quello che ha di fatto permesso alle componenti cattoliche interne ed esterne di fare il bello e il cattivo tempo proprio con i nostri diritti e la nostra dignità. Sarebbe il caso che dalla base ai quadri di quei partiti, insomma, si levassero voci che recitassero all’unisono l’unica parola possibile: altolà. Perché l’alternativa a certe visioni – quelle di chi crede ancora al gender, chi parla di “utero in affitto” (invece che di gestazione per altri, al netto delle proprie posizioni) e chi vede nella lotta all’omofobia una merce di scambio sulla nostra dignità di persone – è il collateralismo. E non possiamo più permetterci di supportare certe istanze, seppur indirettamente, arrogandoci poi il diritto di andare in giro con il distintivo arcobaleno addosso. Men che mai, di prendere ordini da cattodem, sentinelle e paccottiglia politica similare. Non se vogliamo scrivere una storia diversa rispetto a quella raccontata fino ad oggi.

Leave a Comment

Inizia a digitare e premi Enter per effettuare una ricerca

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.