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Le guide di Gay Lex: conosciamo il ddl Zan (prima parte)

Dopo l’approvazione alla Camera, il 4 novembre 2020, il disegno di legge n. 2005 contro omolesbobitransfobia, abilismo e misoginia (“ddl Zan” dal cognome del relatore Alessandro Zan, deputato del Pd) è tornato in questi giorni al centro del dibattito politico.
Il disegno di legge, infatti, si è bloccato al Senato dopo che la Lega, ma anche le altre forze del centrodestra, Forza Italia e Fratelli d’Italia, hanno definito il provvedimento non prioritario, non consentendo così l’avvio della discussione in commissione Giustizia. Negli ultimi giorni, inoltre, anche una pressante richiesta di emendamenti da parte di Italia Viva rischia di affossare il disegno di legge.

Cosa dice il ddl Zan

Ma cosa prevede esattamente il Ddl Zan? Cerchiamo di capirlo con questa guida in più puntate in cui lo analizzeremo articolo per articolo.
Inizieremo parlando in generale del contenuto e degli scopi del disegno di legge, del suo titolo e dell’art. 1.

Il codice penale italiano punisce già i reati e l’istigazione all’odio fondati su caratteristiche come la nazionalità, l’origine etnica o la religione.
La novità legislativa che vuole introdurre il “ddl Zan” (così come avevano fatto a partire dal 1996 precedenti proposte di legge poi naufragate) è quella di aggiungere anche i reati e l’istigazione all’odio fondati sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere, il sesso e sull’abilismo.
L’obiettivo della legge è evidente fin dal titolo: “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”.

Reati e prevenzione: le due parti del ddl Zan

Il “ddl Zan” è un testo unificato (n. 2005 della Camera dei deputati) che nasce, cioè, dalla fusione di diversi disegni di legge: il n. 107 (Boldrini e Speranza), il n. 569 (Zan e altri), il n. 868 (Scalfarotto e altri), il n. 2171 (Perantoni, Sarli e altri) e il n. 2255 (Bartolozzi).
Il testo approvato alla Camera è composto da 10 articoli. I primi sei riguardano l’ambito penale (artt. 1-6) e gli altri quattro (artt.7-10) riguardano, invece, le azioni per prevenire le discriminazioni oggetto della legge stessa.

Il ddl Zan estende la normativa già esistente sui reati d’odio disponendo modifiche agli artt. 604 bis e 604 ter del codice penale (artt. 2 e 3), al decreto-legge 26 aprile 1993, numero 122 (noto come “legge Mancino” – art. 5), all’articolo 90-quater del codice di procedura penale (art. 6), al decreto legislativo 9 luglio 2003, numero 215 (art. 8) e infine alla legge 17 luglio 2020, n. 77 (art. 9).
Nel corso delle puntate di questa guida vedremo quali modifiche nello specifico vengono proposte e a quali norme.

L’articolo 1: le definizioni

Inizieremo dall’art. 1 del disegno di legge, che contiene le definizioni utili a individuare l’ambito della legge. L’articolo è stato sollecitato dalla Commissione Affari Costituzionali per evitare l’insorgere di eventuali ipotesi di incostituzionalità della legge.

Art. 1.
(Definizioni)
1. Ai fini della presente legge:
a) per sesso si intende il sesso biologico o anagrafico;
b) per genere si intende qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso;
c) per orientamento sessuale si intende l’attrazione sessuale o affettiva nei confronti di persone di sesso opposto, dello stesso sesso, o di entrambi i sessi;
d) per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione.

L’identità di genere

Nonostante le definizioni siano molto chiare proprio questo articolo (insieme all’art. 4 e all’inserimento della misoginia) è tuttora aspro terreno di battaglia in particolare per la definizione di identità di genere che secondo alcune realtà andrebbe rimossa. Questo, però, escluderebbe le persone trans dalle tutele previste dalla legge.
Va precisato che la definizione di identità di genere riprende la consolidata giurisprudenza costituzionale (per tutte, la sentenza n. 221/2015 della Corte costituzionale) e di legittimità sulla dimensione relazionale dell’identità di genere. Si parla, infatti, di identificazione “percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso”.
Nella seconda parte della guida andremo ad analizzare quali interventi normativi in ambito penale prevede il DDL ZAN

Avv. Michele Giarratano
info@gaylex.it

Qui la seconda parte della guida

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