WikiLeaks diffonde i dati personali di omosessuali arabi: rischiano la pena di morte

Wikileaks, il noto gruppo di attivisti informatici che da anni smaschera le attività che i governi tentano di tenere segrete, da ieri è al centro di polemiche per aver rivelato le identità e i dati di molti gay dell’Arabia Saudita, un paese in cui le persone omosessuali rischiano la pena di morte.

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Julian Assange

L’organizzazione è accussata di avere diffuso dei dati del governo saudita che contengono informazioni personali di migliaia di persone, informazioni che non sono state oscurate né modificate in alcun modo. Tra i tanti documenti diffusi da WikiLeaks ci sono anche quelli che riguardano almeno un uomo accusato di avere una relazione gay oltre che di vittime di stupro e persone con HIV. Ci sono anche i nomi di alcune collaboratrici domestiche abusate dai loro datori di lavoro.
Tra i dati ora pubblici ci sono anche i numeri dei passaporti di queste persone e i nomi completi. Una delle persone citate nei documenti è un uomo arrestato per “devianza sessuale”, l’accusa rivolta agli omosessuali, e questo fa temere per il rischio di rappresaglie e attacchi anche da parte del personale del carcere in cui è detenuto.

Raggiunto dall’agenzia di stampa Associated Press ha dichiarato: “Wikileaks ha pubblicato tutto: il mio numero di telefono, il mio indirizzo, il mio nome, altri dettagli. Se la famiglia di mia moglie dovesse leggere… Pubblicare dati personali come questi può distruggere le persone“.

Julian Assange, fondatore e volto pubblico di WikiLeaks che da anni vive nell’ambasciata ecuadoriana in Inghilterra, ha dichiarato: “I cablogrammi sauditi squarciano il velo su una dittatura illegale che non solo ha celebrato la sua centesima decapitazione quest’anno, ma che è diventata una minaccia per i suoi vicini e per se stessa“.
Scott Long, un attivista per i diritti LGBT che ha lavorato spesso in Medio Oriente, ha dichiarato che i nomi delle vittime di stupro erano segreti ed ha espresso il timore che diffondere i nomi delle persone perseguitate per il loro orientamento sessuale non faccia altro che amplificare il rischio di aggressioni anche da parte delle forze dell’ordine.
“State legittimando il loro controllo – ha dichiarato – non lo state combattendo”.

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