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Le guide di Gay Lex: unioni civili, cosa fare in caso di sindaci ostruzionisti

In questi ultime settimane sono stati tantissimi i casi di sindaci che hanno dichiarato di non voler celebrare le unioni civili o hanno in qualche modo fatto ostracismo o enunciato degli evidenti principi di discriminazioni.
Da ultimo il caso del comune di Finale Emilia di cui abbiamo parlato nei giorni scorsi.
Come comportarsi dunque in questi casi?
Anche stavolta abbiamo provato a fare una breve guida in pochi semplici passaggi, come quella di poche settimane fa sulle trascrizioni.

Partiamo innanzitutto dal caso più semplice, ovvero quello del Sindaco che si dichiari obiettore e che si rifiuti di celebrare l’unione civile.
Per prima cosa va precisato che il testo della legge nota come “Cirinnà” non prevede il diritto all’obiezione di coscienza.
Tale diritto deve essere previsto espressamente (come avviene ad esempio con la legge 194 del 1978 sull’interruzione di gravidanza). I decreti attuativi poi hanno chiarito una volta per tutte che questa facoltà non esiste.
Quello che può fare un sindaco che non voglia celebrare personalmente delle unioni civili è, al più, delegare qualcun altro, come già accade per i matrimoni tra eterosessuali (soprattutto nelle grandi città in cui è impensabile che un sindaco possa celebrare tutti i matrimoni). Sarebbe interessante valutare se un’eventuale delega data espressamente non per ragioni d’ufficio ma per ragioni di coscienza non rappresenti essa stessa un atto discriminatorio.
Va detto che chi vole unirsi civilmente può proporre una persona come celebrante a cui affidare la delega, ma il sindaco non è obbligato ad esaudire la richiesta perché la scelta che compete a lui soltanto.
Ha fatto molto discutere, infatti, la scelta del sindaco di Rovigo, Bergamin, dapprima di delegare Vittorio Sgarbi e infine un funzionario comunale.

Quel che è certo, però, è che il sindaco, in quanto pubblico ufficiale, non può non applicare una legge per motivi di coscienza. Rifiutarsi del tutto di celebrare un’unione civile e non delegare altri a farlo e, dunque, impedire l’applicazione della legge rappresenterebbe un grave illecito penale, ovvero omissione di atti d’ufficio (art. 328 del nostro Codice Penale).
In quel caso dunque si potrebbe ricorrere in sede civile e penale per far sì che l’unione civile venga celebrata.
Secondo alcuni commentatori, infine, essendo il sindaco un rappresentante del Governo, qualora appunto si rifiutasse di applicare la legge (e dunque non consentirebbe nel proprio comune a due persone di unirsi civili di sposarsi, né personalmente né delegando) potrebbe addirittura rischiare di decadere e che al suo posto venga nominato un commissario.

Ma a parte l’obiezione di coscienza, in queste settimane sono tanti i sindaci che hanno – come dicevamo – fatto ostruzionismo e portato avanti quantomeno dei principi in odore di discriminazione.
Molto si gioca soprattutto sulle modalità di celebrazione del matrimonio: dalla scelta della sala a quella del giorno, dalla fascia tricolore agli anelli.
Va detto che anche per quanto riguarda i matrimoni civili le indicazioni sulla celebrazione sono molto scarne e sono contenute negli articoli 106 e seguenti del Codice civile. Si parla di matrimonio celebrato nella casa comunale e alla presenza dell’ufficiale di stato civile che dà lettura degli articoli relativi del codice civile (nel caso delle unioni civili si dà letture di alcuni comma della legge).
La previsione dell’uso della fascia tricolore per il celebrante dei matrimoni civili è contenuta espressamente nell’art. 70 del D.P.R. n.396 del 2000.
Nulla si dice invece in merito a scelta di giorno e sala (demandate normalmente ai regolamenti comunali) oppure dello scambio delle fedi (che è una consuetudine risalente nel tempo e praticamente di uso comune, senza bisogno di essere normata).
Alla luce della legge 76 del 2016 però tutte quelle norme e quelle consuetudini relative alla celebrazione dei matrimoni civili vanno, a nostro avviso, estese alle unioni civili: il comma 20 della legge Cirinnà, infatti recita espressamente che “al solo fine di assicurare l’effettivita’ della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso“.

Significa, in sostanza, che se una sala viene usata per i matrimoni e i giorni della settimana previsti per la celebrazione delle nozze tra persone eterosessuali vanno dal lunedì al saato (ad esempio), queste regole sono valide anche per le unioni civili.

In caso di rifiuti oppure ostruzionismo dunque fate valere le vostre ragioni citando proprio il comma 20 e, qualora l’amministrazione comunale dovesse insistere nel non accogliere le vostre istanze l’unica via resta che quella giudiziaria, come annunciato pochi giorni fa a Trieste: non esitate a scriverci a info@gaylex.it

 

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