Le famiglie delle vittime di Orlando denunciano Facebook, Twitter e Google: “Avete favorito l’Isis”

I familiari di alcune delle vittime della strage di Orlando hanno presentato una denuncia civile federale contro Facebook, Twitter e Google accusando i tre giganti del mondo dei social network di avere aiutato l’Isis a diffondere la sua propaganda fornendo account sulle relative piattafore (Google è stata tirata in causa per YouTube).
orlando-pulse-omofobiaA riferirlo è Fox News secondo cui le famiglie di Tevin Crosby, Javier Jorge-Reyes e Juan Ramon Guerrero, tutti e tre uccisi da Omar Mateen durante la sparatoria all’interno della discoteca gay Pulse di Orlando, lo scorso 12 giugno, sostengono che le tre piattaforme “hanno fornito al gruppo terrorista dell’ISIS account che loro hanno usato per diffondere propaganda estremista, raccogliere fondi e attirare nuove reclute”.

Nella denuncia sporta si legge che “senza Twitter, Facebook e Google (YouTube), la crescita esplosiva dell’ISIS negli ultimi anni nel più temibile grupo terroristico al mondo, non sarebbe stata possibile“.
Come ricorderete, quella notte Omar Mateen, una guardia privata di 29 anni, entrò armato dentro il Pulse e cominciò a fare fuoco uccidendo 49 persone e ferendone altre 53. Lui stesso venne ucciso dai militari della SWAT intervenuti sul posto. Sebbene l’Isis abbia rivendicato l’attentato, le indagini hanno dimostrato che Mateen non era organico all’organnizzazione terroristica, ma si era radicalizzato autonomamente. omar_mateen_orlando1Mateen si è redicalizzato nell’Isis usando gli strumenti degli accusati per questo scopo preciso” ha dichiarato a FoxNews.com Keith Altman, avvocato delle tre famiglie.

L’accusa si basa sul Communications Decency Act, una legge del 1996, contestandola. La norma stabilisce infatti che operatori del web, come i tre chiamati in causa dalle famiglie delle vittime di Orlando, non sono responsabili per ciò che viene pubblicato dagli utenti sulle loro piattaforme. Ed è appoggindosi a questa legge che i social media sono stati, finora, ritenuti non copevoli per icontenuti diffusi tramite gli strumenti messi da loro a disposizione.
Se i giudici dovessero dare ragione alle famiglie, lo scenario del social media potrebbe cambiare radicalmente.

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