Dichiarati nella vita, nascosti sul posto di lavoro. Una fotografia dei lavoratori LGBT

Dichiarati, sì, ma non sul posto di lavoro. Più della metà (58%) dei giovani LGBT+ ritiene sconveniente fare coming out sul posto di lavoro per paura di essere discriminati. È il primo dato che emerge da una ricerca internazionale commissionata da Vodafone e che ha coinvolto più di 3000 dipendenti LGBT+ provenienti da 15 paesi diversi, tra cui l’Italia.

Secondo la ricerca, il 41% delle persone LGBT+ tra i 18 e i 25 ha affermato di aver preferito nascondere nuovamente la propria sessualità o identità di genere nel passaggio dalla scuola al mondo del lavoro. Le motivazioni? I giovani alla prima esperienza di lavoro temono che i colleghi reagiscano negativamente (60%), hanno paura che peggiorino le proprie prospettive lavorative (42%), e temono di avere meno probabilità di essere promossi (33%).
Facciamo un esempio: mentre per una persona eterosessuale parlare di come è andato il weekend con il/la proprio/a partner è qualcosa di spontaneo, da raccontare senza problemi, le cose cose cambiano radicalmente quando a doverlo fare è una persona omosessuale. Per una consistente parte della comunità LGBT+, raccontare la propria quotidianità è un tabù ancora radicato.

“Mi rattrista che così tanti giovani Ltgb+ sentano ancora di dover nascondere il loro status – dichiara a margine della ricerca Vittorio Colao AD di Vodafone- noi ci impegniamo per una cultura che accetti ognuno per quello che è, compreso l’orientamento sessuale e l’identità di genere”. L’impegno è quello di creare una cultura aziendale più aperta grazie al progetto internazionale LGBT+ and Friends Connect per sostenere le persone lgbt e creare un ambiente sempre più accogliente, a partire dalla formazione dei manager.

E in Italia?

Se i primi dati riguardavano tutti i paesi del mondo coinvolti nell’indagine, proviamo ad estrapolare qualche dato che ci riguarda più da vicino. Il 34% degli intervistati italiani ha ammesso di essere “tornato nell’armadio” alla prima esperienza lavorativa dopo la scuola. Ad ostacolare il coming out, il fatto che nell’ambiente di lavoro ci fossero commenti negativi verso le persone LGBT+ (44%). E oggi? Il 55% dichiara di aver fatto coming out con tutti o quasi dentro l’azienda mentre il 34% resta nascosta o si è dichiarata, al massimo, a poche fidate persone.

Un paragone con Paesi Bassi e Turchia

I numeri variano molto da paese a paese e vedono spiccare, in positivo, i Paesi Bassi e, in negativo, la Turchia: un chiaro esempio di come le legislazioni e, quindi, i contesti sociali influiscano nel benessere all’interno dell’ambiente di lavoro.  Da una parte i Paesi Bassi, uno stato che ha approvato il matrimonio tra persone dello stesso sesso nel 2001 e possiede una efficace legge anti-discriminazioni, dall’altro lato la Turchia, un paese privo di diritti per le coppie dello stesso e che, come accaduto recentemente al Pride di Instanbul, ha più volte ostacolato le manifestazioni a sostegno della comunità LGBT (e non solo).
Se il 34% degli italiani aveva lamentato commenti negativi verso la comunità, questo vale solo per il 10% degli olandesi e per il 26% delle persone turche. Perché la percentuale della Turchia è più bassa di quella italiana? La spiegazione più semplice è che nel paese di Erdogan le persone lgbt+ dichiarate già in età scolare sono molto poche e, con ogni probabilità, con una solida struttura personale che permette di non tornare indietro una volta iniziata la vita lavorativa. Commenti negativi sentiti nel primo ambiente di lavoro? Lo denuncia l’84% degli intervistati turchi contro il 25% degli olandesi. Chi ha fatto coming out nell’attuale azienda? In Turchia solo il 14% è dichiarato con tutti o quasi mentre il 64% si aperta al massimo a poche persone fidate. Tutt’altra storia nei Paesi Bassi dove l’87% è dichiarato con tutti o quasi, mentre solo un esile 7% non è dichiarato con nessuno o quasi dentro l’azienda.

I precedenti

Pur rilevando l’importanza del percorso intrapreso da Vodafone, ricordiamo come la ricerca per creare ed alimentare un ambiente di lavoro sereno e, quindi, più produttivo per le persone lgbt non è un tema nuovo. Fra i progetti più recenti segnaliamo quello del Torino Pride che lo scorso hanno ha presentato una guida per lavoratori ed aziende contro ogni forma di discriminazione sul lavoro basata sul orientamento sessuale o identità di genere. Il “Vademecum”, da una parte fornisce strumenti pratici ai lavoratori e alle lavoratrici che pensano di subire discriminazioni in quanto gay, lesbiche, bisessuali o trans, dall’altro propone esempi di buone pratiche per le aziende.

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