Un nostro lettore ci ha segnalato una rivista pubblicata e diffusa in Campania e curata dalla diocesi di Nocera Inferiore-Sarno. Si chiama Insieme e si occupa di argomenti relativi alla fede, alla politica e all’attualità. Tra i temi affrontati dal periodico diocesiano, figura anche quello dell’omosessualità in un articolo – non proprio benevolo – firmato dal direttore della testata, Silvio Longobardi. Vediamo più da vicino di cosa si tratta.
«Due genitori che soffrono per l’omosessualità del figlio sono accusati di arretratezza culturale e sociale. Proviamo a verificare cosa dice la scrittura» esordisce l’articolo in questione. Si parla di una coppia di anziani coniugi che si sono rivolti al loro referente spirituale riguardo al figlio gay. «Nelle loro parole non c’è solo il legittimo riserbo» si legge ancora «c’è come la paura di sentirsi giudicati. Loro, non il figlio». Basterebbe questa semplice frase a far capire che per chi ha scritto l’articolo il problema sta altrove: non nella perplessità dei genitori, ma nella natura del ragazzo. Dalle prime righe, quindi, emerge il pensiero della chiesa ufficiale riguardo le sessualità non normative. E fin qui, direte, nulla di nuovo. Se non fosse che…
Il resto dell’articolo ripercorre la solita narrazione svilente sull’omosessualità. Si scomodano termini e locuzioni come “traviamento” e “devianza sessuale”, per arrivare a esiti apocalittici quali «l’omosessualità appartiene al caos sociale» o ancora «frammento di un mondo che va in frantumi». Al nostro autore va riconosciuto un merito: il tentativo di rendere un po’ meno stantio il solito corredo di espressioni sui gay. Rimane, tuttavia, il solito sentimento omofobico. E anche qui possiamo dire: nessuna novità. Rientra nella libertà religiosa credere che essere gay sia peccato, così come fa parte di altre fedi pensare che i mancini siano figli del diavolo, le donne inferiori e da sottomettere, che le eclissi portino sfiga, ecc. Eppure, questo articolo porta con sé un elemento problematico che va affrontato su due livelli.
Speriamo dunque che la risposta alla domanda precedente sia negativa. In tal caso, però, qualcuno ci dovrà spiegarci perché la parola di Dio, espressa nelle Scritture, comincia a essere “meno vera”. Ed è questo il secondo livello problematico riscontrato. La Bibbia dice sempre “il vero”, condanne a morte incluse, o lo dice fino a un certo punto? È anch’essa frutto di un processo culturale ampiamente superato, su certe questioni? In questa prospettiva, “le parole della fede”, che per altro è il titolo della rubrica in cui si affronta la questione, ricadono perciò nell’ambito del relativismo culturale. Esso può essere ben spiegato dall’antropologia: ricordiamo i saggi di Remotti, per fare un nome. A meno che l’alternativa ad un approccio critico sia quella di «restare aggrappati alla Parola antica che sfida i secoli», come ha scritto l’autore del pezzo. E qui ritorna il nostro interrogativo: i gay vanno messi a morte? Aspettiamo, fiduciosi, una risposta del direttore di Insieme.
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