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Preso dai talebani, corpo fatto a pezzi: “Per mostrare cosa facciamo ai gay”

I talebani hanno sequestrato un ragazzo omosessuale, lo scorso ferragosto, uccidendolo e facendolo poi a pezzi. Quanto si temeva, sul massacro di persone Lgbt+ nel paese mediorientale, sta purtroppo cominciando a concretizzarsi. Tutto è cominciato in un ristorante, dove la vittima cenava insieme al suo compagno che si fa chiamare con lo pseudonimo Gabir, per proteggere la sua identità. I due, dopo la presa di Kabul da parte degli integralisti islamici, sono fuggiti per tornare a casa. Ma quando uno dei due ha provato a chiamare l’altro, non è riuscito a raggiungerlo. Fino alla drammatica scoperta. La vittima è stata catturata dai miliziani e uccisa. E non solo. Il suo corpo è stato smembrato ed esposto pubblicamente. A riportarlo, il sito di informazione PinkNews.

La ferocia dei talebani sul ragazzo

Secondo quanto ha potuto ricostruire Gabir, «sono arrivate due auto, con dei talebani a bordo». Quindi hanno chiesto al ragazzo di dirgli dove fosse casa sua e hanno cominciato a picchiarlo. Dopo, l’uccisione. «In seguito hanno detto di aver riportato il corpo e di averlo tagliato a pezzi per mostrare alla gente che questo è ciò che facciamo con le persone gay». La coppia stava insieme da otto mesi, dopo essersi incontrati all’università. Avevano intenzione di lasciare l’Afghanistan per poi sposarsi. Come riporta ancora PinkNews, «dopo la terribile morte del giovane, Gabir non ha nemmeno avuto il tempo di piangere, poiché si nasconde e teme per la propria vita».

L’appello di Gabir

Gabir ha anche detto di aver subito minacce e telefonate anonime. «So che sei gay, prima di prendere Kabul sapevamo tutto di te. Hai tre o quattro amici gay, hai un fidanzato» questi i messaggi arrivati, ha dichiarato ancora. «Una volta che ci saremo stabiliti qui a Kabul, non ti lasceremo vivere. Se ti troviamo, ti uccideremo». Da quel momento per il ragazzo è cominciato il calvario. «Sono sicuro al 100% che morirò. Non c’è speranza per me». E spera nell’aiuto del governo britannico, a cui si appella: «Voglio solo lasciare questo Paese. Non voglio morire. Non voglio che mi uccidano e mi facciano a pezzi come hanno fatto con il mio ragazzo».

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