Che rapporto c’è tra la comunità lgbt e chi lavora nel settore pubblico? A rispondere a questa domanda è l’ultima relazione dell’Agenzia per i diritti fondamentali (FRA) dell’Unione Europea. Esaminando i risultati di interviste fatte a 1.000 tra pubblici ufficiali, funzionari di polizia, insegnanti e operatori sanitari in 19 Stati membri dell’UE (Austria, Bulgaria, Croazia, Danimarca, Finlandia, Francia, Grecia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Regno Unito, Romania, Slovacchia, Spagna e Ungheria) nel 2013, la FRA arriva alla conclusione che
Le interviste somministrate dalla Fra miravano a realizzare un’analisi comparativa delle opinioni dei funzionari dei settori elencati sopra che hanno riconosciuto l’effetto positivo delle iniziative dell’Unione Europea sui temi dei diritti della gay community.
“Gli intervistati tuttavia hanno anche lamentato una mancanza di informazione e formazione professionale sui bisogni delle persone LGBT – si legge nella relazione -, che impedisce loro di intervenire per contribuire a contrastare gli episodi di discriminazione a cui sono continuamente esposte le persone LGBT”.
L’attenzione della FRA si è focalizzata sulle categorie professionali che possono meglio di altre individuare sia i fattori necessari ad attuare sul campo le politiche in materia di diritti fondamentali sia le barriere che ostacolano questo percorso. Tra i principali risultatiillustrati nella relazione intitolata “Sfide al raggiungimento dell’uguaglianza delle persone LGBT nei contesti professionali” emerge che la società può avere un atteggiamento ostile nei confronti delle persone LGBT e i professionisti possono nutrire pregiudizi, ritenendo per esempio che l’omosessualità sia una malattia e che possa essere contagiosa. “Ne consegue – scrive la Fra – che è necessario organizzare campagne di sensibilizzazione più positive a livello UE e nazionale, da inserire per esempio nell’elenco di azioni dell’UE per migliorare il rispetto per le persone LGBT e per i loro diritti”.
La Fra ha rilevato anche un’assenza di “informazioni oggettive”, soprattutto nelle scuole, che può dar luogo a episodi di bullismo e successivamente a pregiudizi, e costringere i giovani LGBT a nascondere il proprio orientamento sessuale o la propria identità di genere.
“Gli Stati membri – suggerisce l’agenzia – dovrebbero collaborare con le scuole e le autorità del mondo dell’istruzione per ideare campagne mirate, che aiutino a rendere le scuole un luogo più sicuro e più accogliente per le persone LGBT”. Iniziative che in Italia, ad esempio, sarebbero appannaggio dell’Unar, che però da mesi è di fatto in stallo totale con progetti bloccati e iniziative di ogni genere ferme al palo. Le iniziative lanciate da singole
“I reati generati dall’odio nei confronti delle persone LGBT non sono riconosciuti, denunciati e registrati – denuncia ancora la relazione -. Gli Stati membri dovrebbero adoperarsi per garantire che le leggi che tutelano dai reati generati dall’odio siano adeguatamente applicate e che siano fatti sforzi maggiori per incoraggiare la segnalazione dei reati generati dall’odio nei confronti delle persone LGBT e la loro successiva registrazione”. Si rendono ormai indispensabili, dunque, norme come una legge come l’omotransfobia, di cui il nostro paese è privo. Va ricordato, infatti, che la cosiddetta legge Scalfarotto, che aveva questo scopo, è ferma in Senato da più di novecento giorni dopo essere stata approvata alla Camera.
Il report completo della Fra è consultabile (in inglese) a questo link.
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