Riceviamo e pubblichiamo volentieri un contributo da parte di F.G., un demisessuale di trent’anni che ha deciso di condividere con noi la sua storia.
“Cosa vuol dire?” Ho perso il conto di tutte le volte che me l’han chiesto. Ciao, sono F.G. un ragazzo che arrivato a trent’anni si definisce con una certa tranquillità come gay e demisessuale, ma… “cosa vuol dire?” Ricordando che la sessualità (e l’asessualità), non è solo bianco e nero, ma un ventaglio di colori e sfumature che oserei definire interminabile, parlerò a titolo prettamente personale, poiché altri potranno avere avuto esperienze e dinamiche anche molto diverse.
Non saprei collocare cronologicamente quando, precisamente, ho preso piena coscienza di me. Non è semplice, fin da piccolo mi piacevano i maschietti, crescendo ho realizzato di essere attratto da loro, ma la demisessualità? In un periodo in cui ero libero da relazioni, mi dissi: “Dai, tentiamo questo tanto decantato sesso occasionale, PER LA SCIENZA!”, così, voglia pari a zero, installai una delle app di incontri gay e iniziai a scorrere la home con i profili, uno mi parve particolarmente carino ed iniziai una conversazione (in realtà piuttosto breve) che mi avrebbe condotto la sera stessa da lui e con il preciso scopo di avere un rapporto sessuale. Riassumendo: carino, simpatico, bel fisico ma più si parlava di ciò che sarebbe dovuto accadere di lì a poco, più la mia mente si proiettava sul rientro a casa, i miei libri, le mie passioni e le mie altre cose da fare, dunque ad un certo punto, mi sentii in dovere di scusarmi e alzare i tacchi.
E qui la presa di coscienza, mista a un momentaneo smarrimento. Ma anche il piacere di mettere insieme i pezzi e dare un nome a tutta una serie di situazioni e cose. Cose che per lungo periodo avevo bollato come “stranezze di me”. La demisessualità è un po’ quella cosa che ti fa preferire passare la serata con gli amici e una birra. O sul divano a guardare un film, piuttosto che conoscere persone con lo scopo di portarle a letto. Sì, perché di impulsi sessuali generalmente ce ne son pochi e nessuno per cui si sente valga la pena di dilungarsi in estenuanti flirt per aggiudicarsi una serata o fare necessariamente colpo su qualcuno.
Sarà che sono stupido io, non capisco però l’impellente necessità di piombare nella casella di posta di altri e dirgli come dovrebbero o non dovrebbero vivere la propria sessualità. Non è difficile: basta essere persone civili e rispettose. E per fortuna, non sono tutti come gli esempi di cui sopra. Menzione d’onore e ringraziamento speciale, infine, a tutti coloro che non iniziano una conversazione con «A o P?»: vi si vuole bene.
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