La puntata del “Maurizio Costanzo Show” di ieri, 29 maggio, ha affrontato il tema dell’omogenitorialità, affidato ad un parterre formato, da una parte da Vittorio Sgarbi, Marina Ripa di Meana e Carlo Taormina (l’avvocato recentemente condannato per omofobia, noto per uscite come “Riconosco un frocio dai movimenti, come i delinquenti”), e dall’altra da Francesca Vecchioni, Edoardo Leo, Klaus Davi, Belen Rodriguez e Leo Gullotta.
Durante la trasmissione dall’avvocato Taormina sono arrivate le affermazioni a cui ci ha abituati, apartire dall’evergreen “i figli hanno bisogno di mamma e papà” a un più sofisticato “il matrimonio gay lede l’immagine delle istituzioni”.
Marina Ripa di Meana ha invece regalato ai teleaspettatori una feroce invettiva contro la gestazione per altri, il cosiddetto “utero in affitto”, definendolo, nell’apice del nervosismo, “Prostituzione di feti”. Il pubblico presente in studio non ha gradito affatto la sparata della stilista romana (appellata da Sgarbi “icona gay trisessuale”).
Una trasmissione che avrebbe dovuto essere terreno di confronto pacifico, si è progressivamente tramutata in un vero e proporio “ring televisivo”, nel quale prevale chi urla di più, a tutto svantaggio degli spettatori che avrebbero voluto farsi un’opinione sul tema in discussione.
La storia di Francesca Vecchioni oramai è ben nota e risulta sempre piacevole da ascoltare, unitamente alla sua proverbiale serenità espositiva. Spesso sottoposta alle aggressioni dei più feroci personaggi “antigay”, si è sempre difesa mantenendo i nervi saldi e la lucidità intatta, nonostante, la maggior parte delle volte, gli affetti a lei più cari siano oggetto degli attacchi ricevuti.
Un Leo Gullotta pronto e tempestivo, sempre sul pezzo, non avvezzo solitamente a partecipare a talk show di natura politica, ha difeso le ragioni della gay community con argomentazioni lucide e con una toccante parentesi personale sul suo tardivo coming out.
Una trasmissione che ha assunto a tratti i connotati di un Freak Show all’americana. Probabilmente un dibattito di natura filosofico-sociologica avrebbe determinato una riduzione considerevole dell’indice di ascolto, ma per lo meno avrebbe fornito strumenti adeguati agli ascoltatori e alle ascoltatrici, evitando di banalizzare, come regolarmente avviene, i dibattiti radiotelevisivi attorno alle rivendicazioni LGBT.
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