La settimana scorsa da Trento è arrivata la notizia di un’importante sentenza in tema di discriminazioni sul luogo di lavoro per orientamento sessuale.
Oggi, così come anticipato in quella guida, faremo invece un piccolo approfondimento su mobbing e molestie.
Le violenze, le aggressioni – anche verbali – e i maltrattamenti subiti sul luogo di lavoro prendono normalmente il nome di mobbing, dall’inglese to mob (assalire, soffocare, vessare). Le forme che il mobbing può assumere, anche al di fuori di un contesto prettamente lavorativo, nei confronti della vittima possono consistere in pressioni o molestie psicologiche, calunnie sistematiche, maltrattamenti verbali ed offese personali, minacce o atteggiamenti miranti ad intimorire ingiustamente o avvilire, anche in forma velata ed indiretta, critiche immotivate ed atteggiamenti ostili, delegittimazione dell’immagine, anche di fronte a colleghi ed a soggetti estranei all’impresa, ente o amministrazione.
La Giurisprudenza delle corti italiane, sia civili che penali, ha comunque – a partire dal 1999 – elaborato attraverso le sentenze dei principi in grado, in parte, di colmare la grave lacuna legislativa sul punto.
In attesa di una normativa completa sul mobbing, che rispecchi la tutela già presente in altri paesi e che il Parlamento Europeo invita a realizzare con alcune risoluzioni già dal 2001, bisognerà dunque utilizzare gli attuali strumenti normativi che sono forniti dal codice civile e penale, dallo statuto dei lavoratori e dal già citato D.Lgs. 216/2003.
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