Le guide di Gay Lex: unioni civili e previdenza per i liberi professionisti

Diversi colleghi in queste settimane ci hanno segnalato l’articolo a firma di Ida Grimaldi e Salvatore Spano apparso nel numero 2/3 della rivista Previdenza Forense (pag. 105) dal titolo “Unioni civili e riflessi previdenziali”.

La tesi di cassa forense

Nell’articolo la tesi proposta (in breve) è la seguente:
– è vero che l’art. 1 comma 20 della l. 76/2016 stabilisce che per “coniuge/i o termini equivalenti” debbano intendersi anche i componenti di una unione civile, laddove detti termini ricorrano in leggi, atti aventi forza di legge, regolamenti, atti amministrativi e contratti collettivi;
– però la stessa l. 76/2016, laddove disciplina il sistema di monitoraggio dei costi dei nuovi diritti riconosciuti (ad esempio per le pensioni di reversibilità o indirette), fa riferimento ai costi sopportati dall’INPS e non dalle altre Casse private, per le quali, peraltro non è prevista alcuna copertura finanziaria; inoltre, aggiungono gli autori, in Parlamento era stato bocciato un emendamento che proponeva di estendere ai contraenti l’unione civile, anche le prestazioni assicurate dalle Casse di previdenza dei liberi professionisti.

Pertanto, gli autori, pur auspicando un impegno delle Casse private volto a recepire gli effetti della nuova normativa, affermano che i diritti previsti per il coniuge dai regolamenti delle Casse di previdenza dei liberi professionisti (e dunque non solo avvocati ma anche commercialisti etc…) non sarebbero ricompresi nella legge 76/2016 e dunque non sarebbero automaticamente estesi al partner dell’unione civile.

Ancora, il comma 20

La questione, a nostro avviso, è mal posta e arriva a conclusioni sbagliate e non solo perché – come più volte detto – il comma 20 costituisce una sorta di “clausola di salvaguardia“.
tribunaleSul punto abbiamo chiesto un breve parere a Maurizio Falsone, avvocato a Milano nonché studioso di diritto del lavoro presso l’Università Ca’Foscari di Venezia, il quale ci ha detto che la tesi sostenuta nell’articolo è, a suo avviso, “infondata per almeno due ragioni“.

La tesi di uno studioso di diritto del lavoro

Innanzitutto, ci spiega Falsone, “il diritto dei professionisti e dei loro parenti stretti alla pensione indiretta o di reversibilità scaturisce da leggi che fanno, di solito, riferimento alla figura del coniuge (e dei figli). Nel caso degli avvocati, ad esempio, l’art. 7 della l. 576/1980 di riforma del sistema previdenziale forense disciplina l’istituto delle pensioni indiretta o di reversibilità facendo proprio tale riferimento al coniuge. Pertanto il regolamento interno della Cassa Forense, anche a non volerlo considerare “regolamento” ai sensi dell’art. 1 comma 20 della legge c.d. Cirinnà, deve essere interpretato nel senso di riferirsi anche a contraenti l’unione civile, poiché dà attuazione alla l. 576/1980 che, come ho detto, fa letteralmente riferimento al “coniuge”. Affermare l’opposto significherebbe svuotare di significato l’art. 1 comma 20 della l. 76/2016“.

Lo Stato deve garantire la copertura

pensioneInoltre, continua Falsone, “gli autori dell’articolo in questione corroborano la loro tesi segnalando il fatto che la l. 76/2016 non copre finanziariamente i costi che la Cassa dovrebbe affrontare per riconoscere i nuovi diritti. Dimenticano, però, che lo Stato è tenuto a garantire la copertura finanziaria delle spese degli enti pubblici e non può o comunque non deve finanziare gli enti previdenziali privati. Infatti, il d.lgs. 509/1994 che ha trasformato gli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza in persone giuridiche private, stabilisce all’art. 1 commi 1 e 3 che queste non possono usufruire di finanziamenti pubblici o altri ausili pubblici di carattere finanziario (salvo sgravi e fiscalizzazioni di oneri sociali).

Conferma di ciò è offerta, fra i tanti esempi possibili, dalle previsioni dei decreti attuativi del jobs act (d.lgs. nn. 80 e 149 del 2015) che hanno esteso ai liberi professionisti  il diritto all’indennità di maternità in casi particolari (art. 70 del d.lgs. 151/2001). Infatti le disposizioni di copertura finanziaria del jobs act (proprio come quelle del d.lgs. 76/2016) riguardano esclusivamente gli oneri pubblici e non i costi che devono essere sostenuti dalle Casse private”.

In coda aggiungiamo che, anche a voler ritenere plausibile la lettura offerta sulla rivista di Previdenza Forense, è abbastanza grave che non venga dato conto – su un giornale di così grande diffusione – di interpretazioni opposte a quella degli autori come ad esempio quella di Maurizio Falsone (che ringraziamo per il suo commento) o di altri autorevoli commentatori.

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