Ieri sera, facendo zapping, mi sono imbattuto per la seconda volta nel giro di poche settimane nell’ennesima puntata del Grande Fratello Vip. Disclaimer necessario, già dalla seconda riga: no, non lo vedo quasi mai, ma nonostante ciò non sento la necessità di criticare chi guarda prodotti siffatti. Postilla al disclaimer: è un tipo di prodotto televisivo che, per quello che mi riguarda, potrebbe essere cancellato dai palinsesti. La mia vita non ne trarrebbe svantaggio alcuno. Tutto ciò per dire che quanto leggerete ora in avanti non è frutto di pregiudizi nei confronti dello show. Ok? Bene.
Sapete chi sono i gay d’ancien régime? Sono quegli omosessuali – io almeno li chiamo così – rimasti fermi a una rappresentazione dell’omosessualità che oggi non è più dominante o che è, persino, in via d’estinzione. E che, nonostante ciò, hanno la pretesa di estenderla a tutti gli altri. Ebbene, a parer mio ieri si è consumato – e proprio al Grande Fratello Vip – questo scontro intergenerazionale. Di civiltà, oserei dire. Tra la visione di Cristiano Malgioglio da una parte e la realtà quotidiana che le persone Lgbt+ vivono nel qui ed ora al di qua dello schermo. Vittima sacrificale di questo titanico scontro, il bel Tommy. Vediamo perché.
Invece, grazie a un abile montaggio in cui si vede uno Zorzi devastato dall’incertezza e un Malgioglio assurto a confessore dei gay, veniamo a sapere che per noi persone Lgbt+, anzi per noi gay maschi, è così che vanno le cose: «Purtroppo amore ricordati che noi siamo sempre destinati a restare soli. Tu t’innamori, t’innamori… Perché non vanno mai d’accordo nemmeno le vere coppie, quelle tra uomo e donna, figurati noi. Purtroppo è così, non c’è niente da fare. È un segno, purtroppo è un segno». Segno che avrebbe fatto bene a tacere. Fosse non altro perché, con ogni evidenza, non sa di cosa sta parlando. O come se non succedesse anche agli eterosessuali: uomini che si innamorano di lesbiche e donne che si innamorano di gay… succede a chiunque di prendere un palo in pieno volto. Non è il marchio di fabbrica dell’omosessualità. E se tutto questo vi avesse atterrito a sufficienza, ho una brutta notizia per voi: no, non finisce mica qui.
In tutto ciò, un ringraziamento speciale va ad Alfonso Signorini per averci regalato questo patetico siparietto del giovane gay sprovveduto che si innamora dell’etero (più) maturo. Con la menzione d’onore a Malgioglio, ancora, che manda a dire al grande pubblico che omosessualità è sinonimo di sfiga, devastazione e infelicità. Nonostante cinquant’anni di lotte che dovrebbero aver insegnato ai due che non siamo macchiette o maschere teatrali. Qualcosa da incasellare in rappresentazioni precostituite ad uso e consumo di una narrazione, quella eterosessuale, di base stereotipata e omofoba. Avanguardia pura in entrambi i casi, insomma. Quando dovrebbe essere vero, invece, che sono le nostre azioni a raccontare chi siamo davvero. E che diritti, dignità e rispetto sono qualcosa che stanno alla base, non qualcosa di cui si è degni, al prezzo di chissà cosa. E senza predestinazioni di sorta, per dirla tutta.
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