Dantedì e sodomia, qual era l’idea del poeta fiorentino sull’omosessualità?

Oggi è Dantedì. Con questo termine si indica proprio il 25 marzo, giorno scelto per ricordare il padre della lingua italiana. «La  ricorrenza è stata istituita dal Consiglio dei ministri, su proposta del ministro della Cultura, Dario Franceschini, nel 2020» ricorda Rainews. «La scelta  del giorno non è casuale: il 25 marzo è la data che i dantisti riconoscono come l’inizio del viaggio nell’aldilà descritto  letterariamente nella Divina Commedia». Ma cosa c’entra Dante con le questioni Lgbt+ e intersezionali?

Nel cerchio dei sodomiti

dantedì

L’inferno dantesco, in un dipinto di Botticelli

Nel XV canto dell’Inferno, Dante incontra il suo maestro, Brunetto Latini. Siamo nel cerchio dei sodomiti, coloro che peccarono “contro natura”. Il settimo, per esattezza, al terzo girone. Oltre le mura della Città di Dite. Non è casuale che il sommo poeta collochi lì coloro che si macchiarono del vizio nefando. Tutto nella Commedia è allegoria. Prima di quel confine, Dante colloca gli incontinenti: coloro, cioè, che si lasciarono travolgere da vizi e passioni. Non pensano il male, ne sono appunto travolti. Ma andare contro natura, contro Dio e contro se stessi così come tradire, per il poeta fiorentino rappresenta scegliere il peccato. L'”omosessualità come scelta” diviene, agli occhi contemporanei, uno pseudo-argomento che possiamo bollare come pensiero medievale.

Dante era omofobo?

Vi chiederete, dunque: Dante era omofobo? E di conseguenza: è opportuno celebrare il Dantedì? La risposta sorprenderà. No, non possiamo affermarlo quanto meno. Di certo, ha nei confronti del suo maestro – ser Brunetto, dipinto come sodomita – una grandissima reverenza. E mostra pietà umana, considerazione della sua statura intellettuale (sebbene Franco Buffoni smentisce questa lettura del canto dantesco) come poche altre volte, all’interno della Commedia. Già con Paolo e Francesca il fiorentino si mostra così partecipe del pathos narrativo della narrazione della donna, che – alla vista di Paolo che piange per la loro sorte – addirittura sviene. E come si comporta con Brunetto? E con l’omosessualità?

Opposti pareri su Brunetto Latini

Dante, Virgilio e Brunetto Latini, in un’incisione di Gustave Dorè

Torniamo al discorso di Buffoni, pubblicato su Nazione Indiana: Dante non stimerebbe davvero il maestro. «Dante vuole far fare brutta figura a Brunetto Latini non perché “sodomita”, ma perché mediocre letterato. E ci riesce perfettamente, malgrado le parole di affetto («la cara e buona immagine paterna») e le manifestazioni di gratitudine («m’insegnavate»)». Lettura opposta rispetto ad altri, che invece vedono nel canto l’esaltazione della figura del maestro. «Il “caso” di Brunetto è analogo a quello di altri grandi spiriti» si legge nella voce dell’Enciclopedia dantesca a lui dedicata, «di altre anime di fama note, che pagano sì la loro colpa […] ma a cui va la simpatia umana, quando non la pietà, del poeta». Ovviamente, «sia pure con le debite differenziazioni di ordine storico ed etico-politico». I versi finali del canto lo lascerebbero credere:

Poi si rivolse, e parve di coloro
che corrono a Verona il drappo verde
per la campagna; e parve di costoro
quelli che vince, non colui che perde.

Dante e l’omosessualità

Al netto di cosa il poeta possa credere sul maestro, è importante cosa Dante pensa del “peccato” di sodomia. Ancora Buffoni ricorda che il poeta «in Inferno XV non condanna l’omosessualità, così come in Inferno V non condanna l’adulterio. Certo, Paolo e Francesca sono all’Inferno in quanto adulteri; e Brunetto Latini vi si trova in quanto sodomita. Perché Dante applica la lettura cristiana della corrispondenza peccato-pena. Ma indica anche una via a sé stesso e al lettore: impegniamoci a essere virtuosi, a superare le tentazioni della carne e della vita terrena, noi che questi atti li abbiamo desiderati, li abbiamo commessi».

Dante ebbe rapporti omosessuali?

Franco Buffoni

Ancora Buffoni ricorda: «Dante non è omosessuale come Virgilio o come Brunetto. Ma, come ogni uomo “normale”, può compiere atti omosessuali se le circostanze sono favorevoli». E ricorda ancora:  «Tra chierici e letterati per l’appunto, il fatto che certi rapporti esistessero era non solo tollerato, ma praticamente considerato la norma». E quindi: «D’altro canto è risaputo che la relazione omosessuale per antonomasia fioriva nelle scuole di retorica tra maestro e allievo».

Dantedì e interpretazione del Canto XV

Buffoni dunque non esclude l’idea che Dante abbia potuto avere rapporti omosessuali. Interessante, infine, una sua ultima interpretazione su alcuni passi del canto su Brunetto: «Va infine ricordato che entrambi, Dante e Brunetto, furono condannati all’esilio […]. E proprio da Brunetto giunge a Dante la profezia più chiara relativa al proprio esilio. Al punto che, per alcuni commentatori, tema vero del canto non è la sodomia bensì la polemica di Dante con Firenze. Resta il fatto che il canto dedicato all’omosessualità è anche il canto dell’esilio; e in tale ottica il verso “dell’umana natura posto in bando” possiede polisemica valenza». Il Dantedì, quindi, ci permette di parlare di questa “polisemia”.  E di leggere con altri occhi – quelli della “giustizia biografica” – la Commedia.

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