Caro Babbo Natale, in questo 2020 è difficile scriverti una lettera

Caro Babbo Natale, quest’anno è difficile. È difficile, perché la lettera che ti scrivo ogni anno vuol essere un po’ scanzonata, un po’ ironica e anche sufficientemente cinica. Ma è un periodo, questo, in cui c’è bisogno di tutt’altro. Sì certo, anche di ironia e di quella capacità di saper ridere di sé, anche quando tutto brucia. Perché è questo che ci salva. Ma il male, a ‘sto giro, è invisibile. E no, non sto parlando solo del virus.

“Andrà tutto bene”, dicevano. Questa storia non mi ha mai convinto, nemmeno per un attimo. Ho capito che non sarebbe andato bene un cazzo di niente quando è sparito l’alcol etilico dagli scaffali nel giro di pochi giorni. E così pure i disinfettanti, la candeggina e tutto ciò che pulisce in profondità che più pulito non si può. Quando a scuola facciamo le simulazioni per l’evacuazione dell’edificio, la prima cosa che ci dicono è di mantenere la calma. Perché il panico è garanzia di insuccesso. In due parole: di morte. E se quando bisognava mantenersi lucidi si è dato sfogo invece al peggiore istinto di sopravvivenza, be’, converrai con me che tutta questa fiducia per l’umanità non ha proprio basi solidissime. E allora, chissà, forse qui c’è qualcosa su cui cominciare a lavorare.

Certo, poi sono arrivati i canti sui balconi. Solo per poche settimane, ci avevano detto. Distanti oggi, per riabbracciarci domani. E ci ritroviamo con l’ennesimo lockdown. In un periodo che ci vede tradizionalmente uniti. A volte contro voglia. Le ricordo benissimo le vigilie con casa invasa anche di parenti scomodi. Gente con cui a malapena c’era qualche gene in comune. Poi tutto ci divideva: dal fascismo alla fede fine a se stessa. Però, ecco, quando chiedevo che quella pantomima finisse, non intendevo esattamente questo. E non perché mi manchino i parenti, anzi. Ma perché quegli oltre 70.000 morti sono una ferita per molte persone che si troveranno un posto vuoto di troppo, a tavola. E allora, forse, al di là di un buon cicatrizzante (tu che sei magico, sai di cosa parlo) sarebbe il caso di dare significato alle cose. Per non perderle realmente, quando tutto sarà perduto.

L’estate ci ha dato un’illusione di normalità. Ok, siamo stati irresponsabili. Non tutti, sia chiaro. Anzi, le persone che mi hanno circondato hanno fatto tutto secondo quanto previsto dai decreti. Mascherina, distanziamento, un po’ di attenzione e occhio vigile. E niente discoteca. Siamo state e siamo stati anche bravi, nei limiti. Perché siamo umani e la possibilità di fallire è sempre dietro l’angolo. Però, caro Babbo Natale, una cosa che non vorrei vedere più sono gli sceriffi da balcone e quelli da tastiera. Chi ha fatto della penitenza e dell’approccio tragico alla vita l’unica possibilità di visione del presente. Non credo che serva. I sensi di colpa non portano da nessuna parte. Il senso di responsabilità, invece, a parer mio aiuta. Per cui, prendi appunti, insomma.

E comunque, io capisco tutto. Capisco quell’istinto di sopravvivenza che ci rende ciechi. A dispetto del senso di umanità. Non lo giustifico, ma ne comprendo i più intimi meccanismi. E capisco la rabbia di chi, tra paura e senso del dovere, si trova ad aver a che fare con negazionisti, riduzionisti, antivaccinisti e tutto quanto la natura ha previsto per controllare i flussi demografici. Che due ceffoni o un dracarys, quando salgo su un pullman e vedo gente senza mascherina, viene di darli pure a me. Sì, caro Babbo Natale, conosco la tua obiezione: la natura ha pure previsto gli scarafaggi, in caso di guerra nucleare. Gli unici che sopravviveranno. Ma, converrai, fanno schifo. Come quelli che minimizzano. E mettono a repentaglio la salute di tutti gli altri. E allora, forse chiedo molto, me ne rendo conto: ma magari una maggiore consapevolezza, sarebbe cosa gradita. Ecco.

E ancora, caro Babbo Natale, ci sarebbero quelle questioni in sospeso. Hai presente la legge Zan, no? Ora, non so se la notizia è arrivata fin lassù, al polo nord. Ma qua i crimini d’odio uccidono così come fa il virus: silenziosamente, senza che ce ne accorgiamo. E i sentimenti che li generano sono contagiosi, tanto quanto. Un bel vaccino – oltre che contro il covid-19 – anche contro la cattiveria delle persone sarebbe cosa gradita. E poi ci sono i bimbi e le bimbe arcobaleno. Ti sembra giusto che i loro diritti non siano garantiti e che le loro famiglie non siano riconosciute? Per chi ci governa sì, sembra giusto. Ecco, allora io sotto l’albero vorrei trovare anche più garanzie, per l’anno prossimo.

Ok, caro Babbo Natale, forse sto esagerando. Forse devo aggiustare il tiro, con richieste più a portata di mano: che ne so, i prossimi libri pubblicati (che Eugenia mi scalpita, e poi ti spiego). E magari un’ospitata da Fazio – aiuta a vendere, vi vedo che storcete il naso, ma se scrivi libri aiuta a vendere – un fidanzato ricco oppure, in alternativa, una di quelle magiche carte di credito che non si esauriscono mai perché associate al conto corrente di Dio o chi per lui (qui andiamo di politeismo spinto, con ampie concessioni a ciò che io chiamo “ateismo funzionale”). Insomma, fa’ tu. A me va bene pure ritrovarmi un’umanità meno incattivita. Non dico libera dal male, lo so che non sei tu quello dei miracoli (e quello che dovrebbe farli è in sciopero da duemila anni, temo). Però, ecco, ora lo sai. E posso chiudere qui questa letterina. All’anno prossimo.

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