World Pride 2019, i diari della Grande Mela: parole migranti a Brooklyn

Ora, sarà il mio lato nerd, sarà che a me queste cose piacciono anche per formazione personale, ma io cerco sempre di capire cosa ci sta dietro un nome. Come dico spesso – chi mi conosce sa che questo è un mio cavallo di battaglia – la parola (verbum) nasconde interi universi e, in non pochi casi, contribuisce addirittura a crearli. E allora oggi voglio raccontare una storia, che riguarda alcuni nomi e che riguarda New York.

Da Breuckelen a Brooklyn…

Scorcio del ponte di Brooklyn

Ho già scritto, ieri, del perché questa città si chiama la Grande Mela. Come in molti e molte sapranno, New York si divide in cinque borough, le suddivisioni amministrative in cui è organizzata. Noi risediamo a Brooklyn, famosa in tutto il mondo anche per il celebre ponte, che vi consiglio di attraversare – possibilmente nelle ore meno calde del giorno – per avere la sensazione di passeggiare in mezzo alla grandezza dei grattacieli, sospesi sul mare. «Nel 1646» leggiamo su Wikipedia «la Compagnia olandese delle Indie occidentali autorizzò l’edificazione del villaggio di Breuckelen. Esso prese il nome da Breukelen, un piccolo comune nella provincia di Utrecht».

…E da Brooklyn a Broccolino

Dal riadattamento di questo nome, che si pronunciava esattamente come oggi pronunciamo la grafia corrente, abbiamo il nome di uno dei quartieri più suggestivi. Poi vennero molti italiani e molte italiane, come la storia ci insegna. E, si sa, i nostri predecessori erano in moltissimi casi persone molto semplici. Poca dimestichezza con la lingua inglese, che furono però costretti a imparare, nel momento in cui decisero di venire a vivere qui. E Breuckelen, divenuta Brooklyn, subisce un ulteriore adattamento. Non solo nella forma, ma anche nella pronuncia: Broccolino.

La traccia degli italiani e delle italiane a New York

L’arrivo dei migranti italiani a New York

La traccia lasciata dai nostri connazionali, qui a New York, è un’impronta ben visibile. Non solo nell’onomastica, che di nomi di italiani ne trovi a bizzeffe anche sulle insegne dei negozi. Per non parlare dei sindaci che questa città ha avuto, fino a quello attuale, Bill de Blasio. È un’impronta che lascia un segno sulla coscienza, quando vai a Ground Zero. Un monumento toccante, caratterizzato da due enormi vasche in cui l’acqua scorre verso il basso e si raccoglie in un foro, di forma cubica, che non ti fa vedere null’altro se non un buco in mezzo alla terra. E ti suggerisce, tutto questo, il senso di smarrimento: di fronte all’ignoto, per il vuoto, per qualcosa che sfugge alla tua comprensione e che ti trasmette angoscia.

Andando per Ground Zero

Andando per Ground Zero, tra una vasca all’altra, in quel luogo se vogliamo anche ameno, in mezzo agli altri grattacieli e riposando sulle panchine del parco prospiciente, mentre il vapore dell’acqua profuma tutto intorno, andando in mezzo a tutto questo puoi leggere i nomi delle vittime della follia dell’11 settembre. E tra quei nomi vedi moltissimi italiani. Non che questo renda più gravi le loro morti, sia chiaro. Però a me l’idea che un viaggio cominciato decenni, forse un secolo addietro, sia stato interrotto in quel modo tragico un po’ mi ha toccato. Sarà che un pezzo di me è migrante a sua volta… E non ho potuto pensare a chi, nel nostro Paese, fa dell’essere migrante una colpa o addirittura un reato.

Il sogno di non aver più paura

Ground Zero

Chi decide di andar via da casa lo fa per inseguire un sogno. Fosse anche solo il sogno di non avere più paura, come avviene per i profughi di guerra. Oppure, per inseguire l’idea che si ha di sé. Come chi raggiungeva questa città per poter essere se stesso/a, in piena libertà. Non è un caso che tra i veterani di Stonewall – a proposito, oggi sono cinquant’anni – ci fossero anche degli italiani. Per raggiungere un posto nuovo, diverso, dove poter vivere al meglio. Rifarsi una vita, costruirsene una. Avere una possibilità in più (o, in molti casi, un’unica possibilità). Così devono aver fatto quegli immigrati olandesi che fondarono Nuova Amsterdam, poi diventata New York. Così hanno fatto i nostri e le nostre connazionali, poi divenuti cittadini americani. Chiunque pensi di poter distruggere questi sogni, con qualsivoglia legge speciale, non mi sembra poi così diverso da chi, nel 2001, spezzò quel viaggio cominciato in Italia anni addietro. Un viaggio interrotto, tragicamente, con un aereo che si infilò in mezzo a un palazzo, uccidendo migliaia di persone. E i rispettivi sogni.

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