Emilia Romagna, la legge contro l’omofobia è un “ma” sulla nostra dignità

Come è noto, in Emilia Romagna è in discussione una legge contro omofobia e transfobia che ha spaccato – tanto per cambiare, viene da dire – il Partito democratico che se ne è fatto promotore. La ragione di questa ennesima divisione sta nell’emendamento presentato dai cattodem Giuseppe Paruolo e Giuseppe Boschini. Firmato da un terzo dei consiglieri, l’emendamento propone di «prevenire e sostenere il contrasto di ogni forma di sfruttamento della donna e violazione della dignità della persona, con particolare riferimento a violenza sessuale, abuso di minori e sfruttamento della prostituzione, stalking e surrogazione di maternità».

Un emendamento che piace alle destre e a certo “femminismo”

Giuseppe Paruolo, uno dei due consiglieri che ha proposto l’emendamento

Il provvedimento, manco a dirlo, piace non solo all’ala cattolica del partito – vero e proprio “freno a mano” politico dentro il Pd – ma anche alle destre. Infatti, come fa notare Il Fatto Quotidiano, la proposta è stata accolta «con entusiasmo» da Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega. E non solo: anche dentro certo “femminismo” da salotto – lo stesso che da un po’ si ritrova sulle posizioni di Salvini contro l’omogenitorialità e che ha “aperto” al congresso di Verona e a certe sue protagoniste, Giorgia Meloni in primis – l’emendamento è salutato con favore. Critiche, invece, quelle realtà che lottano per i diritti delle persone Lgbt.

La strategia della riduzione del danno

Cosa c’entri una presa di posizione siffatta in una legge che dovrebbe contrastare i fenomeni di discriminazione basata su orientamento sessuale e identità di genere, sarebbe un mistero se non fosse manifesto il solito schema messo in atto in certi settori del Pd –  mi riferisco alle sue frange religiose (estremiste?, verrebbe da chiedersi) – e che si basa su una sorta di “riduzione del danno” rispetto al provvedimento da adottare. Dove il “danno” sarebbe il provvedimento da prendere a tutela della comunità arcobaleno. Essendo l’omosessualità un peccato per la chiesa, la militanza cattolica sembra fare ogni cosa in suo potere per far perdere efficacia (nei limiti del possibile) a quei provvedimenti che tendono a migliorare la vita di gay, lesbiche, trans, ecc.

Uno schema ampiamente consolidato

A ben vedere, è già successo in precedenza. Con i DiCo si mandava a dire all’opinione pubblica che gay e lesbiche potevano avere diritti ma non potevano essere coppie. Con le unioni civili? Stesso schema: i gay e le lesbiche possono essere riconosciuti come coppie, ma non possono avere figli. La strategia, insomma, è semplice: si dà qualcosa alle persone Lgbt, ma allo stesso tempo si depotenzia il provvedimento o lo si rende svantaggioso. Nel caso specifico, si concede una legge contro l’omo-transfobia alle persone Lgbt, ma al tempo stesso queste stesse sono messe in relazione (certo, in modo più implicito) ad una dimensione di violenza.

Quel “ma” che fa la differenza…

Giuseppe Boschini, altro consigliere dem contro la Gpa

Concentriamoci un attimo su quel “ma” ricorrente: in grammatica è una congiunzione avversativa, la cui funzione è quella «di legare due parole o due proposizioni che sono in qualche modo in contrasto». A livello pragmatico, in un periodo in cui due frasi sono legate dal “ma”, la seconda affermazione tende a negare la prima, a depotenziare l’assunto precedente o addirittura – in modo più o meno inconsapevole – a corromperne il senso. Pensiamo a tutte le volte in cui sentiamo frasi che cominciano con “non sono razzista, ma…” oppure “non sono omofobo, ma…”. L’affermazione che segue, nella stragrande maggioranza dei casi, sarà razzista oppure omofoba.

…e alimenta gli stereotipi

Ancora, a livello argomentativo l’uso della congiunzione avversativa mette in risalto l’eccezione rispetto alla norma. Pensiamo a frasi quali: “è donna, ma sa guidare”. Quei “ma” non mettono in discussione una rappresentazione negativa, ma la fortifica: nonostante sia di sesso femminile (condizione di svantaggio), sa fare una cosa che non dovrebbe saper fare (affermazione della condizione di partenza). Alcuni studi fanno notare come questo tipo di procedimenti rafforzi pregiudizi e stereotipi – vi consiglio la lettura di un saggio di Elena Pistolesi, Identità e stereotipi nel discorso conflittuale, da cui ho ripreso l’esempio – e quell’emendamento funziona un po’ allo stesso modo. Vediamo perché.

Se “anche i gay sono violenti”…

Il provvedimento di Paruolo e Boschini manda un messaggio sottile, all’opinione pubblica: esiste la violenza omofobica, ma esistono anche altre forme di violenza (e fin qui…). Tra queste, la surrogazione di maternità. Surrogazione che nell’immaginario collettivo è praticata, ma guarda un po’, proprio dai maschi gay! Il rischio è che si arrivi a una generalizzazione: esiste l’omofobia contro le persone Lgbt, ma anche il mondo arcobaleno è portatore di violenza. Tradotto, in termini ancora più semplici: sono gay e discriminati, ma sono anche violenti. E esercitano tale violenza con la Gpa. Un provvedimento che dovrebbe servire a disinnescare il discorso d’odio (in nome del “sono gay e discriminati”) si ritorce contro la categoria da tutelare (nel “ma sono anche violenti”).

Un parallelo con la violenza di genere

Un manifestante contro l’emendamento dei cattodem

Per capirne l’irricevibilità, se non dovessero servire tali argomentazioni, proviamo a fare un esempio portandolo su un altro piano: la violenza sulle donne. Voglio fare una legge che la contrasti, con tanto di condanna al femminicidio. Nel mio partito, però, c’è qualcuno che invece pensa che essa abbia delle ragioni – magari per motivi religiosi, visto che per il proprio credo le donne sono peccatrici – e allora si mette di traverso. Non può certo dirmi che è a favore di vessazioni e discriminazione (ah, la bellezza del politicamente corretto…) ma può facilmente buttarla in caciara, mettendoci in mezzo questioni che non sono pertinenti. Magari con un: “Facciamo dunque questa legge, ma ricordiamo che l’aborto è comunque omicidio“. Vi sembrerebbe tollerabile?

La lezione del 4 marzo non è servita

Eppure è quello che succede nella narrazione sulle persone Lgbt, sulle nostre realizzazioni familiari, sulla nostra genitorialità. E grazie a questo procedimento, ormai consolidato dentro il Pd, si riproducono due schemi cristallizzati quando si tratta di legiferare per la gay community italiana:

1. le persone Lgbt rimangono comunque in uno stato di minorità
2. le persone Lgbt vengono rappresentate comunque come pericolose (a conferma dello stereotipo sociale contro la minoranza).

Tutto questo grazie a un Pd che si conferma incapace di porre un freno alle sue componenti più retrograde e omofobe. Le regionali intanto sono vicine. E la lezione del 4 marzo non è stata sufficiente, a quanto pare.

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