“Gender, la stesura definitiva”: «Così faremo diventare gay i vostri figli»

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La copertina del libro

A proposito di gender: ero alla facoltà di Lettere, nel piccolo ufficio di una segreteria didattica, quando l’impiegata bionda dietro alla scrivania sobbalzò: «Guardate qua», disse «io ho i figli alle elementari: questi so’ matti!». E declamò davanti a tutti noi il titolo di un articolo, nel quale giganteggiava la parola «gender»: «Giender? Ghender? Che vuol dire ‘sta cosa? Che cosa vogliono fare?» chiedeva a noi, retoricamente. E da lì diede inizio a una polemica contro gli «invertiti» e la «lobby» e i politici al potere.

La paura attorno al gender

Era una polemica non maliziosa, provocatoria ma che nasceva dalla rabbia di una persona sinceramente spaventata, teneramente disorientata. Quel giorno avrei voluto dire all’impiegata bionda tante cose, ma non sapevo esattamente quali; adesso lo so. Ancora oggi mi capita di incrociarla: la vedo per i corridoi del secondo piano o accanto alle “macchinette”, quando va a timbrare il cartellino. Un giorno di questi entrerò nell’ufficio della segreteria, approfittando della sua assenza, e lascerò alla sua collega un libro per lei: Il gender: la stesura definitiva. Tutto quello che ancora non sai sull’ideologia che farà di tuo figlio un gay (Villaggio Maori, Catania 2017), di Dario Accolla, in uscita in questi giorni.

La parola all’autore

Caro Dario, con il tuo libro credi che finalmente la lobby gay riuscirà ad “omosessualizzare” le masse e a costruire un meraviglioso paradiso omosex?

Mi piacerebbe, ma – scherzi a parte – non credo che questo potrà mai accadere. Innanzi tutto non esiste nessuna “lobby gay”, almeno non nel senso squalificante in cui la intendono i detrattori. Non esistono, in altre parole, i “savi di Sodoma”, se vogliamo fare il verso alle dicerie che si dicevano degli ebrei, nel secolo scorso. Né, tanto meno, si può credere di “convertire” l’orientamento delle persone. Il mio libro mira a prendere in giro questa visione, ad ironizzare su di essa.

La protagonista del libro è una parola, gender. Per essa usi due forme marcate graficamente in modo differente. Questo ci dà la possibilità di toccare il cuore del tuo libro: la differenza tra il vero significato di gender e il suo senso mistificato, base della polemica e della grande menzogna…

Nel libro distinguo il gender, scritto in corsivo, dal “gender” tra virgolette. Con il primo indico il complesso degli studi di genere, ovvero quell’insieme di discipline che si basano sul cosiddetto “pensiero della differenza” il cui messaggio è semplice: l’eterosessismo e il maschilismo, sul quale si strutturano sia il pregiudizio omofobico sia il binarismo di genere, generano squilibri e gerarchie che non fanno la felicità dell’individuo. Come sempre, quando siamo obbligati a recitare un ruolo. Pensiamo ad esempio agli eterosessuali maschi, che devono obbedire a una certa rappresentazione sociale: se non sei vincente, forte, rude, la società tenderà a stigmatizzarti come poco “maschile”, generando sofferenza. I gender studies analizzano questo tipo di storture sociali. Col “gender” invece indico la mistificazione che si fa attorno ad essi. Una vera operazione di terrorismo psicologico, a ben vedere.

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L’autore

Come è possibile, secondo te, che un gran numero di persone si sia convinto di una bugia così grande, madornale?

Viviamo nel paese dove la gente ha smesso di vaccinare i bambini solo perché qualcuno ha lanciato un falso allarme sul web. Non c’è molta differenza: si indica un nemico più o meno sconosciuto, si isola la vittima – solitamente il “bambino” – ed il gioco è fatto. La gente si orienta in base alle proprie paure, per definizione irrazionali. La mistificazione sul “gender” è particolarmente insidiosa proprio perché fa leva sugli affetti familiari, sul legame genitoriale. È normale che madri e padri siano spaventati di fronte ad una prospettiva per cui si vuole “pervertire” il proprio bambino. Un po’ meno rassicurante, invece, che non ci siano agenzie politiche e culturali – scuola, ministeri appositi, governo – che prendano in pugno la situazione per disinnescare questo allarme sociale.

Nel libro oltre a demolire l’ideologia del “gender”, così come è stata “montata” da cosiddetti movimenti anti-gender, fai una cosa molto interessante e utile: raccogli i dati relativi a questa polemica e ne ricostruisci la storia. Leggendo ho dato un ordine a tutti gli episodi aberranti di questa storia (come quello del 2015, del sindaco di Venezia e dei libri proibiti), che vagavano nella mia mente in un ricordo ora vivido ora pallido.

Credo che sia importante ricostruire il fenomeno nella sua complessità, per avere quegli strumenti per demolire il castello di bugie nato attorno alla mistificazione sui gender studies. Anche la ricostruzione storica ci aiuta a definire meglio i termini della questione. Tale mistificazione è un’immensa operazione che si arricchisce grazie all’ignoranza. Il sapere è un ottimo antidoto contro tutto questo.

Tu sei anche un insegnante e, in fondo, la polemica sul “gender” è uno dei mille travestimenti dell’omofobia: c’è in classe un margine di lavoro?

La scuola è un terreno molto fecondo per fare educazione alla cittadinanza. In aula, dove non sono e non posso essere militante – non è quello il mio ruolo – provo sempre a fornire strumenti critici. I miei allievi e le mie allieve non devono pensarla come me, su certi temi. Ma è mio compito fornire gli strumenti affinché qualsiasi cosa penseranno un domani sia il frutto di una riflessione e non la conseguenza di un insieme di preconcetti. La polemica sul “gender” ha presupposti fortemente omofobici e credo che a scuola non debba esserci spazio per un certo tipo si sentimenti e di discorsi d’odio. Il margine di intervento c’è eccome.

L’ironia come arma

Quello che mi ha colpito di Il gender: la stesura definitiva è lo stile di Dario, cioè il modo in cui il suo sguardo si posa sulle cose. Mai come in questo caso è il risultato di una stretta interazione tra contenuto e forma, tra le parole e le cose: di fronte al paradosso creato da chi ha agitato ai quattro venti la famigerata “ideologia del gender” non può che essere l’ironia un’arma buona per riportare ordine nello scompiglio generale, in quella forma sublimata di isterismo collettivo innescato dalla miccia di quella mistificazione.

Lo spazio della riflessione

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Il family day, manifestazione anti-gender

Come possiamo notare anche dal titolo, il libro si propone come un paradosso, rispondendo ad esso con un ulteriore paradosso. Ma l’autore – con l’ironia cui ci ha abituato già con i suoi articoli arguti e taglienti (apparsi su varie testate: Ilfattoquotidiano.it, Gaypost.it) – non si contenta qui di evidenziare la vacuità di una ideologia inesistente ma, detonandola un poco a un certo punto del libro, parla più seriamente di “gender”, “gender studies”, “identità sessuale”, “linguaggio” e altri temi fondamentali. In effetti il volume si articola in due parti, una «destruens», l’altra «costruens»: rispettivamente la Parte prima e la Parte seconda. E in corrispondenza di queste due sezioni c’è una sottile variazione di tono. È un po’ come se questa scrittura seguisse un movimento musicale: dopo una Premessa “semiseria” (così definita testualmente), si procede con l’ironia irriverente, lacerante della Prima parte, a cui fa seguito un’ironia detonata, smorzata dalla drammaticità di certe affermazioni, della Seconda parte, fino alle Conclusioni “serissime”, dove il divertissement delle prime pagine lascia spazio a una riflessione sulla “narrazione del gender”, con un focus sulle strategie retoriche abilmente impiegate per la costruzione di un vero e proprio “mito”.

Una scrittura militante

Questa scrittura, pur nelle variazioni tonali e nella sua amabilità e scorrevolezza, anche nelle fasi di ironia più acute, è segnata, al fondo, da un residuo di malinconia, da una nota tragica, che nasce dalla consapevolezza di quanto certe operazioni culturali fondate sull’odio possano, nella concretezza quotidiana, uccidere lentamente alcune persone, dimezzare le loro vite. Da qui scaturisce, anche – mi pare – la valenza politica di questa scrittura ironica e tragica insieme, dissacrante. Laica. Militante. Quello che mi ha colpito del libro – dicevo – è il modo in cui lo sguardo dell’autore si posa sulle cose. E quello di Dario è lo sguardo di un antico satiro.

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