Filtro porno sul web: una misura contro la libertà e i giovani lgbt+

L’accesso al porno è a rischio in Italia. Possiamo dire grazie, ancora una volta, alla Lega – per intercessione di Simone Pillon – e al piglio autoritario e paternalistico che contraddistingue l’azione parlamentare di questo partito. Come riporta Repubblica, infatti, «il porno su internet in Italia sarà bloccato in automatico, a tutela dei minori, e solo il consumatore titolare del contratto – maggiorenne – potrà disattivare questo filtro, con richiesta esplicita al proprio operatore telefonico». Il provvedimento è stato inserito nella legge sulle intercettazioni, grazie ad un emendamento del partito sovranista.

Cosa prevede il provvedimento

La Lega, infatti, è riuscita ad inserire un articolo – il 7 bis – intitolato: “Sistemi di protezione dei minori dai rischi del cyberspazio”. In cui si legge che «i contratti di fornitura nei servizi di comunicazione elettronica […] devono prevedere tra i servizi preattivati sistemi di parental control ovvero di filtro di contenuti inappropriati per i minori e di blocco a contenuti riservati ad un pubblico di età superiore agli anni diciotto». Per accedere a contenuti “vietati ai minori”, dunque, servirà la richiesta del titolare del contratto. Una norma di buon senso, si potrebbe credere in un primo momento. E invece no: è una norma illiberale, autoritaria, paternalista e molto pericolosa per la stessa libertà d’espressione.

Una posizione laica sul porno

Simone Pillon

Non sono un amante della pornografia. I siti porno tendenzialmente mi annoiano. Non che, occasionalmente, non li abbia visti, ma di fatto non è un “prodotto” che mi fa impazzire. Ciò non vuol dire che biasimo o reputo immorale chi fa scelte diverse dalla mia. E faccio questo inciso per capire che la mia posizione, su questa tema, è laica e senza alcun conflitto di interesse. Per altro, essendo maggiorenne e potendomi intestare un contratto, la cosa potrebbe anche non toccarmi. Ma il discorso è, appunto, sui principi generali. In primo luogo, perché istituisce di nuovo – e surrettiziamente –la figura del pater familias. Sì, avete capito benissimo.

Mogli e figli sotto il controllo del pater familias

«Un provvedimento del genere costringerebbe molti ragazzi – anche più che maggiorenni – a sottostare ad un’autorizzazione del genitore»: la denuncia arriva dalla pagina Facebook dei Radicali Italiani. Infatti, si ricorda ancora, che «solo il consumatore titolare del contratto potrà disattivare questo filtro». Titolare che molto spesso è il “capofamiglia”. Per cui altri componenti del nucleo familiare, se volessero accedere a un certo tipo di contenuti, dovrebbero prima passare dalla sua autorizzazione. Capofamiglia che, molto spesso, è il padre o il marito. Guarda caso.

Una misura lesiva della privacy

Ancora, tra le criticità evidenti – ma non poste sotto la dovuta attenzione – c’è il tentativo dello Stato di ergersi a censore di usi e abitudini sessuali dei propri cittadini e delle proprie cittadine. Con il sempreverde mantra del “chi pensa ai bambini?” si pongono le basi per una norma che, di fatto, limita la libertà di scelta degli adulti, per le ragioni che abbiamo appena visto. E non riguarda solo coloro che vivono in famiglia. Pensiamo a chi, studente/ssa o lavoratore/trice, va a vivere fuori casa e trova un appartamento con una linea telefonica intestata ad altri: si ripropone il problema. E se pensiamo che poi lo Stato è il primo attore politico e sociale che chiude gli occhi di fronte a certe tematiche, allora questo provvedimento diventa ancora più irricevibile.

Tra porno, educazione sessuale e gender

Per proteggere i bambini dal porno, ed è vero che l’accesso a certi contenuti avviene già sin dalla più giovane età – basta insegnare in una scuola elementare, per averne contezza – la strada da non seguire è proprio quella della censura o il tentativo di porre sotto controllo la società. Si dovrebbe proporre, invece, un’educazione sessuale da avviare nelle aule scolastiche sin dai primi anni delle elementari almeno. Educazione sessuale che però il partito di Pillon, insieme al suo fan club fatto da pro-vita e frequentatori di family day, bolla sotto la temibile etichetta del “gender”. Eppure una sessualità più consapevole dovrebbe essere il primo passo, se vogliamo proteggere davvero le nuove generazioni e le fasce più giovani.

Il rischio per le giovani generazioni Lgbt+

Un ulteriore elemento di criticità riguarda, infine, la libertà di accesso all’informazione, soprattutto per giovani Lgbt+. Fino a poco tempo fa, infatti, nelle sale di informatica di alcune facoltà non si poteva accedere a siti che contenessero la parola “gay” nel loro Url o che specifici contenuti tematici. Se ciò dovesse estendersi anche alle connessioni private, molti/e adolescenti che trovano grazie al web i loro primi contatti con le realtà Lgbt+ (penso ai siti delle associazioni, i siti di incontri e non solo necessariamente i siti per adulti), si troverebbero ancora più isolati. E sarebbero costretti, in alternativa, a fare coming out in famiglia per poter usare più liberamente internet.

Cosa è porno e cosa no? Un indistinto molto pericoloso

Queste preoccupazioni non sono esagerate. Pillon ha dichiarato, ancora, che il filtro servirà «per bloccare contenuti violenti, pornografici o inadeguati per i minori». Il concetto di “inadeguato” apre le porte ad un indistinto che può essere molto pericoloso, in quanto può toccare qualsiasi categoria. C’è da chiedersi, poi, chi si ergerà a giudice dei contenuti da valutare come adeguati o meno.   Tornando a Pillon, considerando le sue idee sulla comunità Lgbt+, c’è il rischio in buona sostanza che sotto questa scure moralizzatrice e liberticida finirà anche su quest’ultima.

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