Quella accaduta in un paese della provincia di Pavia circa un anno fa e venuta alla luce solo in questi giorni, è una storia tutt’altro che semplice. Secondo quanto hanno riportato diverse testate (dall’Ansa, al Fatto Quotidiano passando per Avvenire), un avvocato con una relazione stabile con un altro uomo, avrebbe promesso 70 mila euro ad una ragazza (che tutti precisano essere albanese) per fingersi il padre del bambino che lei ha partorito ed acquisirne così la paternità.
Una storia complicata, dicevamo. Anche perché la donna e il bambino, insieme al compagno di lei (che un test del DNA ha rivelato essere il padre biologico del piccolo) hanno convissuto con l’avvocato e il compagno per un po’, fino a quando non sono sorti problemi tra loro.
Aperta l’indagine, il Tribunale per i Minori ha ritenuto di allontanare il bambino dalla casa in cui si trovava e di portarlo in una comunità protetta dove adesso si trova insieme alla madre.
“Tutto quello che il mio cliente voleva fare – continua – era garantire al piccolo un futuro migliore in Italia, senza che questo significasse, in alcun modo, l’esclusione degli altri genitori dalla sua vita”. Insiste molto, l’avvocato, sul fatto che non siamo davanti ad un caso di “utero in affitto” né di sfruttamento di alcun genere. Per Angelini, insomma, si tratta di un esempio di “gogna mediatica per un caso che è certamente delicato, ma che va ridimensionato a quello che è oggetto di indagine: l’alterazione di stato civile”.
Comunque siano andate le cose, il fatto è che l’occasione è fin troppo ghiotta per tirare in ballo i peggiori fantasmi che sono stati creati attorno all’omogenitorialità maschile, alla stepchild adoption e alla gestazione per altri. Pratica che è vietata in Italia, lo ricordiamo, e che però è legale in altri paesi dove avviene secondo regole ed etica precise e stringenti. Come ad esempio in Canada e in alcuni stati degli Usa come la California dove le donne che scelgono di portare a termine una gravidanza (per conto di una coppia gay, di una coppia etero o di un/a single) lo fanno in modo del tutto volontario, nel rispetto dei loro diritti e, ovviamente, di quelli del bambino.
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