Negò il congedo parentale a madre sociale: il tribunale di Milano dà ragione alla donna

Il congedo parentale va esteso anche alle madri sociali, all’interno di una coppia dello stesso sesso. A decretarlo, il Tribunale di Milano, con ordinanza del 13 novembre 2020, come riporta l’Avvocatura per i diritti Lgbti – Rete Lenford sulla sua pagina Facebook. La Corte milanese, infatti, «ha riconosciuto il carattere discriminatorio del diniego opposto dal datore di lavoro, ATS Milano, alla richiesta di congedo parentale formulata da una dipendente, riconosciuta come madre nell’atto di nascita del figlio biologico della compagna, con la quale è unita civilmente».

Il caso del diniego al congedo parentale

La storia risale al novembre del 2019. «Il datore di lavoro» si legge ancora «aveva giustificato il diniego in ragione dell’incertezza del quadro normativo sul riconoscimento della genitorialità nelle coppie formate da persone dello stesso sesso». Insomma, non essendoci una legge sul riconoscimento dell’omogenitorialità, ciò ha indotto il datore di lavoro a non concedere il congedo parentale alla donna. Il Tribunale di Milano, tuttavia, ha accolto la denuncia della madre sociale e ha dato torto al suo superiore.

Le motivazioni del tribunale di milano

«Pur dando atto dei recenti approdi della Corte di Cassazione e della Corte costituzionale», si legge ancora «il giudice del lavoro di Milano ha affermato invece che, a fronte della documentazione attestante lo status del bambino come figlio di entrambe le madri e comprovante l’inserimento del minore nel nucleo familiare e la relazione familiare esistente, peraltro non controversi, è sottratta al datore di lavoro ogni valutazione in merito alla sussistenza del legame genitoriale». E ancora: «Se la stessa documentazione fosse stata prodotta da un lavoratore o una lavoratrice di una coppia eterosessuale, il datore di lavoro non avrebbe mosso alcuna obiezione e avrebbe pacificamente riconosciuto il congedo».

L’importanza dell’ordinanza

L’ordinanza è un importante, perché – dichiarano ancora da Rete Lenford – «la controversia rappresenta il primo caso noto a livello nazionale di applicazione del divieto di discriminazione in ragione dell’orientamento sessuale in ambito lavorativo». E, ancora, essa torna su un principio fondamentale: «Di fronte all’esistenza di un legame genitoriale – che l’atto di nascita certifica, ma che a esso preesiste – l’ordinamento non può che garantire di volta in volta la tutela del diritto del figlio a beneficiare degli istituti posti a salvaguardia di tale legame senza alcuna discriminazione».

Tra non discriminazione e bene del minore

Il caso, patrocinato da Francesca Guarnieri, Valentina PontilloGiovanni Mascheretti e Francesco Rizzi, mette in chiaro dunque un aspetto fondamentale, di cui la giurisprudenza dovrà tenere conto: il principio di non discriminazione per le coppie dello stesso sesso e l’interesse del minore. Un passo avanti nel riconoscimento delle famiglie arcobaleno, che mette in luce la necessità di una legislazione ad hoc, per prevenire in futuro situazioni siffatte. E che, dopo il recente caso di Brescia di cui si è parlato ieri nel nostro sito, sul pezzo a firma Gaylex, lascia ulteriormente ben sperare.

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