La sincerità, la chiarezza e la semplicità del raccontare una storia comune, una storia che può accadere – non solo a qualcuno in qualche angolo sperduto del pianeta, ma anche alla più canonica delle famiglie – può rivelarsi la strategia vincente per far passare al grande pubblico un messaggio fondamentale: si deve essere liberi di essere chi si desidera.
Rebekah Fortune con Just Charlie sceglie di essere limpida e onesta, arriva al punto senza troppi voli pindarici. Charlie non riesce a ritrovarsi nell’immagine che gli altri hanno di lui, non riesce a vedersi al maschile e soprattutto non vede alcun futuro per quella versione di sé. La forza interiore e la determinazione, insieme al prima titubante ed incerto e poi determinante appoggio della madre, della sorella e dell’allenatore, lo spronano al cambiamento radicale. La regista si sofferma sul corpo di Charlie, lo ispeziona meticolosamente, lo mostra e ne fa veicolo di libertà. La metamorfosi mostrata da Fortune è al tempo stesso incisiva e destabilizzante: non ci sono ripensamenti, non si guarda più al passato, Charlie non è più un lui, ma una lei, sta al mondo comprenderlo, anche non condividerlo, ma accettarlo.
Eppure, ancora una volta, come spesso capita, la società si dimostra meschina, chiusa, impaurita, tutte le maschere dell’ipocrisia cadono e lasciano spazio al veleno, alla difensiva, alla crudeltà gratuita e violenta. Una ragazzina transgender è un “Freak”, un animale ambiguo e misterioso, untore di un qualche invisibile e contagioso morbo da cui ci si deve proteggere. È squalificante mostrarsi con Charlie, lo è perché la sua scelta è “contro natura”, e allora l’unica soluzione possibile è che gli adulti assumano il comando della situazione e, puntando il dito contro il diverso lo isolino allontanando i propri figli, quegli stessi figli che fino a pochi mesi prima erano i migliori amici di Charlie.
Con l’unione, la costanza e la determinazione, le barriere vengono sfondate, i pregiudizi annullati, basta avere la forza e il coraggio di mostrarsi con limpidezza, quella stessa limpidezza che Just Charlie urla pur rimanendo composto. Non servono, per forza, gesti eclatanti: la sincerità sa essere molto più disarmante e incisiva, e alla fine dei giochi sono proprio quella sincerità e quel bisogno di autenticità, mai celati o prepotentemente imposti a permettere ad una ragazza, a lungo rimasta nascosta, di poter tornare a sorridere al mondo e alla vita che la attendono a braccia aperte al fondo del suo percorso di cambiamento.
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