Si chiamano Giorgio Donders e Sergio Sormani e sono la coppia gay che ha ripreso l’idea dei manifesti di ProVita, lanciata qualche mese fa in chiave omofobica contro l’omogenitorialità, per rimandare al mittente il messaggio. E così i due, che stanno insieme da ventisette anni e sono uniti civilmente da quattro mesi, hanno deciso di produrre una contro-campagna mediatica che cerca di smontare la narrazione contro le persone Lgbt. Solo che i loro detrattoti – e, forse, coloro che apprezzano certi messaggi antigay – non l’anno presa benissimo. E sono arrivate le minacce.
I tre manifesti prodotti recitavano, nell’ordine, le seguenti frasi: “due palle non fanno un etero”, “un pranzo con i parenti non fa Natale” e “entrare in chiesa non fa fede”. Messaggi che riprendono, nello stile comunicativo, quel “due uomini non fanno una madre” (e il corrispettivo, a parti invertite, sulla genitorialità lesbica) che tanto hanno indignato l’opinione pubblica che non si riconosce nei messaggi di odio e di esclusione sociale. I commenti arrivati sui social, e riportati dal Corriere.it, risultano però violenti e molto offensivi: dagli insulti alla coppia ai soliti riferimenti al nazismo e ai forni, dentro i quali dovrebbe finire la coppia nei desideri di chi li attacca.
Sergio e Giorgio, la coppia che ha protestato contro ProVita
Eppure, un intento apparentemente nobile, rischia di risolversi in un boomerang proprio dentro la comunità Lgbt. Come spiegano nel loro sito, che riporta la contro-campagna: «il 90% circa delle persone facenti ricorso alla pratica della maternità surrogata sono eterosessuali. È questo il motivo per cui abbiamo ritenuto decisamente ingiusto, da parte di quelle associazioni, affiggere dei manifesti rappresentanti coppie omosessuali con un bambino nel carrello con tanto di codice a barre sul petto. Ci sembra palese che quel messaggio volesse indurre a credere che lo sfruttamento dell’utero in affitto fosse un gesto crudele da attribuire principalmente o unicamente alle coppie omosessuali.» Insomma, anche in questo caso non si problematizza il ricorso alla Gpa, ma lo si descrive nello stesso modo con cui viene letto proprio dalle associazioni che i due dicono di voler contrastare.
Sia ben chiaro, non si vuole dire che si deve essere necessariamente – o, peggio ancora, obbligatoriamente – a favore della Gpa. Il fenomeno è molto complesso e nel nostro Paese manca un dibattito che sia, prima ancora che serio ed esaustivo su tutti i fattori in gioco riguardo la pratica, quanto meno sereno ed intellettualmente onesto. Ridurre la surrogacy a compravendita di bambini e ad affitto di organi riproduttivi è un insulto verso i figli delle famiglie arcobaleno, i padri gay e le madri gestanti. Forse Giorgio e Sergio, sicuramente armati di buone intenzioni, avrebbero dovuto riflettere un po’ su questo aspetto. Il rischio è quello di parlare con lo stesso linguaggio di chi vorrebbero contrastare con ogni forza.
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