Nelle dense giornate milanesi di Tempo di Libri, lo spettro del gender non si è mostrato solo sotto forma delle dotte dissertazioni di Chiara Lalli e Michela Marzano, ma ha mostrato anche un altro dei suoi molti volti. Nello specifico quello di Vladimir Luxuria, che presentava il suo “Il coraggio di essere una farfalla”, edito da Piemme, affiancata da Alessandro Cecchi Paone.
Il suo obbiettivo è gettare con leggerezza uno sguardo a un passato, tutt’altro che remoto, in cui si era tacciati di essere “preparatori di omosessualità”, in spazi – anche televisivi – di cui oggi è giusto riappropriarsi. Un obiettivo che chiede coraggio. Anche quello – racconta – di recarsi a Mosca con la bandiera arcobaleno. È così che si scopre che esistono reti organizzate che trovano ragazzi gay attraverso le dating app, danno loro appuntamento e ne fanno vittime di pestaggi selvaggi che non possono essere denunciati perché anche solo parlare di omosessualità, nella Russia di Putin, è fare propaganda.
Anche in Italia l’omofobia è ancora un enorme problema: si pensi all’ansia della madre del ‘ragazzo coi pantaloni rosa’ di negare che il proprio figlio fosse gay, o al rifiuto che spesso la comunità LGBT incontra negli ambienti di fede.
Di contro, però, le chiusure sono ancora innumerevoli, ed è a questo che servono i mezzi anche più trash della televisione: portare nelle case delle persone, spesso le più tradizionaliste, persone che altrimenti considererebbero altro da sé. Tanto più non è così se si pensa – suggerisce Luxuria, con una provocazione non del tutto priva di logica – ai cambiamenti che l’invecchiamento apporta al corpo maschile. All’uomo sta, quindi, essere consapevole che “Trans sarai anche tu!”.
Non è poi certo un mistero che il mondo transgender sia oggetto delle fantasie di numerosi etero, e persino della tradizione religiosa stessa. L’esempio più vistoso è “la processione dei femminielli”, nel giorno della Candelora, alla Madonna di Monteverde, “Mamma schiavona”.
A chi, come Vladimir Luxuria, si assume l’onere di essere anche controversa, spetta il compito di “togliere l’omosessuale dalla cupezza”, costruendo situazioni – care anche a Pina Bausch – dove nel gioco dell’eccesso trarre una “morale della favolosità” in cui avere ragione dell’omofobo più crudele: noi stessi a quattordici anni.
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