Buffoni e la verità su Pasolini: “Ucciso perché stava per pubblicare la verità sul caso Mattei”

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Franco Buffoni

Franco Buffoni è una delle voci più importanti della cultura contemporanea in Italia: poeta, innanzi tutto, ma anche saggista e grande intellettuale, coniuga alla riflessione e alla ricerca poetica un approccio militante sulla questione Lgbt. Sul suo profilo Facebook ha commentato la recente morte di Pino Pelosi, l’uomo condannato per l’omicidio di Pier Paolo Pasolini. Un’analisi lucida che abbiamo voluto riprendere e – d’accordo con l’autore – trasformarla in un’intervista “a posteriori”. Perché essa fornisce una chiave di lettura importante e acuta non solo su quanto accaduto al grande letterato scomparso, ma anche su ci che è avvenuto in Italia negli ultimi cinquant’anni.

Con la scomparsa dell’unico imputato sul delitto Pasolini va via un pezzo di verità, dicono i media più importanti del panorama italiano.

Apprendendo della morte di Pino Pelosi, molti hanno comentato: «Così se ne va per sempre la possibilità di conoscere la verità». Mi permetto di dissentire. La verità è chiara fin dal 2005, quando apparvero tutte le foto del corpo martoriato scattate all’obitorio. Chiunque si rende conto che quel massacro non può essere stato compiuto da un ragazzo di diciassette anni ritrovato con una sola macchiolina di sangue sul pantalone. Persino ammettendo che lo abbia davvero travolto fuggendo in auto. «Erano in tre o quattro, avevano le catene», disse subito il testimone che abitava nella baracca lì vicino (non più interrogato): gli gridavano “arruso” e “comunista”, lui gridava “basta” e poi “mamma”, che fu la sua ultima parola.

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Pino Pelosi, ai tempi dell’arresto

Eppure Pelosi era coinvolto…

Nelle interviste rilasciate a partire dal 2005 Pelosi ammette di non aver partecipato in prima persona all’aggressione, che in realtà fu compiuta da due persone sopraggiunte in moto (i fratelli neofascisti di origini siciliane Franco e Giuseppe Borsellino, noti nel giro degli spacciatori come “Braciola” e “Bracioletta”, entrambi poi morti di Aids) e da altri tre individui scesi da un’altra auto.

Pedina di un gioco più grande, insomma.

Nelle foto il volto e il corpo del poeta recano i segni della lapidazione. Oggi resta solo il dubbio se Pelosi fu esca consapevole o inconsapevole. Propendo per la seconda ipotesi. Con forti minacce contro di lui e contro i suoi famigliari (da Pelosi peraltro ammesse), immediatamente dopo l’arresto, fattegli giungere in carcere. Pelosi doveva scappare a piedi nel piano degli assassini. Invece fuggì in auto, senza patente, e fu fermato dalla polizia stradale.

Riguardo la morte di Pasolini, si parla di “omicidio politico”. E si arriva persino al caso Mattei. Qual è il nesso tra questi fatti, apparentemente distanti?

Che la verità sia in Petrolio e soprattutto nel petrolio non lo dice un poeta o uno scrittore, ma un giudice, Vincenzo Calia, che ha indagato sul caso Mattei, depositando una sentenza di archiviazione nel 2003. Calia aveva scoperto un libro, che è la fonte di Pasolini, Questo è Cefis. L’altra faccia dell’onorato presidente, subito ritirato dalla circolazione. Pasolini riuscì ad averlo in fotocopia. In Petrolio l’onorato presidente si chiama Troya.

Pasolini era arrivato molto in alto, insomma?

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Pier Paolo Pasolini

Pasolini è stato ucciso perché stava per scrivere sul Corriere della Sera la verità sul caso Mattei. Stava per dimostrare che le Sette sorelle non c’entravano direttamente, che la questione era interna, nostra, italiana; veniva da una saldatura tra istanze di potere politico-mafioso e certe disinvolture “resistenziali” per le soluzioni drastiche: Cefis e Mattei erano stati entrambi anche uomini della Resistenza. E oggi possiamo forse domandarci quanto di quella acutezza nella conduzione della sua indagine venne a Pasolini dalla conoscenza dei meccanismi “resistenziali” interni alla fine drammatica del fratello Guido (partigiano della Brigata Osoppo, ucciso da altri partigiani comunisti filo-jugoslavi).

Quindi la narrazione che è stata fatta su quella notte è un tentativo di insabbiare la verità.

Quindi non è vero che Pasolini è stato ucciso dalla sua debolezza, che lo induceva a porsi in situazioni “a rischio” con giovani maschi “eterosessuali”. L’omofobia ha solo reso più cruento e “mascherato” un delitto politico. Pasolini sarebbe stato ucciso lo stesso. Avrebbe fatto la fine del giornalista Mauro De Mauro. Che fu fatto sparire proprio mentre indagava sul caso Mattei: mafia-Eni-Dc. Ma a differenza del coraggioso giornalista De Mauro, il coraggioso giornalista Pasolini fu anche un artista, un grandissimo artista, che attraverso il personaggio di Carlo – il cui corpo in Petrolio si consustanzia in merce, divenendo esso stesso petrolio – è riuscito a trasformare l’inchiesta che gli costò la vita nell’opera letteraria-summa della realtà italiana nel secondo dopoguerra.

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