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“Amori che non sanno stare al mondo”: il nuovo film di Comencini riserva qualcosa a lungo sperato

Claudia e Flavio, due professori universitari, si sono amati, lungo sette anni di un rapporto burrascoso e ondivago, tra perfetta serenità e lontananze siderali. Poi la relazione si è conclusa, come spesso accade. E come accade altrettanto spesso, una delle due parti non l’ha accettato. È da questo semplice assunto che muove il nuovo film di Francesca Comencini, “Amori che non sanno stare al mondo”, presentato in anteprima lo scorso 6 agosto al Festival di Locarno e prodotto dalla Fandango di Domenico Procacci.

L’amore diventa una battaglia

La novità è che in questo caso a non rassegnarsi è Claudia, che in un’originale struttura che intesse continuamente il passato e il presente rilegge ciò che è stato attraverso il filtro di una donna ferita, senza nessuna intenzione di arrendersi. Di questa scelta mostra tutti i lati, ed accanto alla disperazione indulge in sfoghi quasi psicotici, esasperatamente sopra le righe. Una scelta consapevole che riesce ad essere esilarante e insieme drammatica, e che attraverso il grottesco punta a raccontare non un amore realistico, bensì la battaglia in cui può trasformarsi l’amore quando “non sa stare al mondo”.

Quasi una rivendicazione femminile

Flavio (un misurato Thomas Trabacchi) è così un uomo composto, controllato, i cui sentimenti non sono mai pienamente chiari, spesso disarmato di fronte a una compagna decisamente burrascosa, sulla quale fa perno non solo la vicenda, ma l’intento stesso del film. L’interpretazione di alto livello di Lucia Mascino riesce a non togliere verità a un personaggio la cui esasperazione si trasforma in una sorta di rivendicazione femminile di un atteggiamento che in una donna viene sovente associato a un pericoloso disequilibrio psicologico. Lo stesso che, invece, in un uomo si è più abituati a vedere e, spesso, ad accettare, quando non a leggere come un sintomo di goffo romanticismo.

Claudia e Nina

In una pellicola di grande qualità, che si sorregge su una sceneggiatura brillante e ricca di frasi capaci di farsi ricordare, sono i rapporti e le loro contraddizioni ad essere il vero focus del film, in tutte le forme nelle quali il presente li declina. Se infatti, archiviata la relazione con Claudia, Flavio si getta tra le braccia della giovanissima Giorgia di cui potrebbe essere padre, a essere inevitabile oggetto del nostro interesse è l’attenzione alla quale si trova sottoposta Claudia, nel pieno della propria disperazione. Su di lei si posano infatti gli occhi e l’interesse della sua allieva Nina, ai quali Claudia non si sottrae. In un film che esplora il femminile, Francesca Comencini sceglie di inserire una relazione tra due donne nel modo in cui, ci spingiamo a dire, dovrebbe essere sempre raccontata.

Il sesso lesbico raccontato come mai prima

“Amori che non sanno stare al mondo” non vuole essere un film a tematica LGBT, e sarebbe riduttivo limitare come tale una pellicola debordante di spunti. La comunità LGBT può però trovarvi elementi interessanti. Accanto a uno spassoso e a suo modo tragicomico cameo di Silvia Calderoni (protagonista di MDLSX), originale insegnante dell’economia eterocentrica dei rapporti, l’amore tra Claudia e Nina (la brava Valentina Bellè), pur essendo una sottotrama, rappresenta qualcosa di nuovo e da lungo tempo atteso, nel cinema italiano. Da un lato, la sceneggiatura di Francesca Comencini, Francesca Manieri e Laura Paolucci si libera dei timori tutti italiani sul sesso lesbico, descrivendolo senza timori né veli come nessuno in Italia (anche chi invece si poneva l’obiettivo di raccontare specificatamente l’amore omosessuale) aveva ancora fatto.

Lo descrive però anche senza ammicchi o eccessiva enfasi. Non c’è volontà di provocare o di colpire, né di indulgere su un tema di interesse per convenienza. Il sesso lesbico è avanti alla macchina da presa alla pari con quello etero, come sempre dovrebbe essere e come nei fatti, raramente è.

Claudia cede senza preoccupazioni

Discorso ancor più meritorio può essere fatto per ciò che concerne la relazione che Claudia e Nina instaurano. In un momento in cui anche all’interno della comunità LGBT la bifobia e la bierasure non sono infrequenti, Claudia cede invece al corteggiamento di Nina senza preoccuparsi del suo genere. Non è il fatto che si tratti di una donna a costituire per lei motivo di timore, quanto piuttosto la sua età o la sua instabilità sentimentale dovuta all’amore per Flavio ancora tutto da elaborare. E tuttavia Nina non è un inciampo o una fuga dal maschile. L’amore di Nina accade e vive la sua naturale parabola, identica a quella che avrebbe vissuto se si fosse trattato di un giovane studente.

Un significativo passo avanti

Si tratta di una scelta precisa, che Francesca Comencini ha chiarito nel corso della conferenza stampa a margine della proiezione elvetica. Ad esplicita domanda, ha infatti spiegato come il suo intento fosse mostrare anche sullo schermo un tempo che vede: “una autorizzazione reciproca a vivere una maggiore fluidità amorosa e sessuale che è connaturata all’umano”. Una presa di posizione che, in un cinema italiano ancora molto timoroso su questo fronte, soprattutto per quanto riguarda le produzioni più importanti, è un significativo passo avanti.

(Le foto di scena sono di Andrea Pirrello)

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