La tematica Lgbt può servire a dar nuova veste alle più classiche e canoniche narrazioni di genere (cinematografico), e perciò, ad esempio, svecchiare il caro vecchio ed inflazionato thriller. Ciò accade in Women who kill di Ingrid Jungermann, presentato al Tribeca Film festival 2016 e approdato in Italia al Lovers Film Festival di quest’anno.
Una narrazione tutta al femminile, e un intreccio che si dipana in un ambiente circoscritto popolato esclusivamente da una “comunità lesbica” radicata e affiatata (conoscenti, migliori amiche, fidanzate ed ex), dove non c’è spazio per gli uomini, se non nel ruolo di ripiego sessuale per Jean, che da lesbica si rivela bisessuale. L’idea di Jungermann è interessante, se non altro perché sceglie di allontanarsi dal cliché della commedia romantica a sfondo LGBT: di amore si è parlato all’esasperazione, è arrivato il momento di farsi largo nel genere più maschilista e pregiudizievole della letteratura e del cinema. Investigatori, poliziotti, assassini, sono sempre uomini, raramente la giustizia viene rappresentata al femminile.
Purtroppo, Jungermann sembra interessarsi talmente al contenitore del film e alla caratterizzazione dei personaggi, da perdersi nella costruzione dello storytelling, che finisce per dimostrarsi debole e per nulla funzionale, retoricamente poco originale. La regista dimentica di curare nel dettaglio i punti di snodo della vicenda, senza soffermarsi sulle fasi cardine della narrazione thriller: si appella parsimoniosamente all’aiuto della suspense, che rilega a piccole comparsate inopportune, non delinea un accattivante profilo psicologico dell’assassino che possa far presa sul pubblico, ma soprattutto lascia troppi non detti e non chiude un tipo di narrazione che necessita di un punto fermo che ne dichiari la sua conclusione. Perciò, Women who kill oscilla tra sufficienza e insufficienza; curato ed innovativo nell’idea, ma disorganizzato e poco maturo nel racconto e nello stile, annacquato e precariamente stabile.
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