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Unioni civili: il comune di Trieste concede una sala, ma non quella dei matrimoni. Zotti: “È apartheid”

Dopo le polemiche delle scorse settimane, il comune di Trieste tenta di mettere a tacere le proteste, a proposito della costituzione delle unioni civili: niente sala dei matrimoni, ma un’altra prestigiosa location comunale e la possibilità di celebrare di sabato. “Tenuto presente che non esiste un diritto soggettivo ad ottenere una determinata sala in una determinata giornata, ma solo a godere di uno spazio nel quale poter svolgere gli adempimenti previsti dalla legge, il Comune di Trieste, se richiesto ed in base a determinate necessità, oltre agli spazi già individuati, metterà a disposizione per le Unioni civili la sala Bobi Bazlen di Palazzo Gopcevich, in via Rossini“, ha deciso la giunta che precisa che, “non appena sarà tecnicamente possibile, l’atto delle Unioni civili potrà essere espletato, su richiesta, anche nella giornata di sabato“.

“Veniamo a saperlo proprio oggi – commenta su Facebook Davide Zotti, l’attivista grazie alla cui denuncia era scoppiato il “caso Trieste” – quando con l’Ufficiale di Stato civile, avevamo individuato una data, il 15 ottobre, in cui la sala matrimoni fosse libera per celebrare la nostra unione civile. Non solo ci sentiamo presi in giro ma ulteriormente umiliati da una proposta che non fa altro che ghettizzare le coppie omosessuali e il loro riconoscimento sociale”. “Che sia la Stanza 101 o Palazzo Gopcevich – continua Zotti -, l’apartheid non è mai una soluzione”.

Davide Zotti

Ma non finisce qui, dicevamo, perché c’è un altro aspetto su cui l’amministrazione ha deciso di focalizzarsi per creare ulteriori ostacoli ed è quello ce riguarda chi può essere delegato dal sindaco a costituire una unione civile tra persone dello stesso sesso.

Secondo l’amministrazione comunale, la norma “prevede i due passaggi, processo verbale di richiesta di unione e registrazione della dichiarazione di costituzione dell’unione” specificando che “l’art. 1, comma 3, ultimo capoverso dell’ ordinamento dello stato civile (DPR 396/2000) si applica solo alla celebrazione del matrimonio e non ha subito modifiche da parte del legislatore dell’Unione civile. In quel contesto si parla di ‘celebrazione di matrimonio’, mentre per l’unione civile il legislatore non usa il termine ‘celebrazione’; lo stesso DPR individua i soggetti certificatori dell’Unione Civile (Sindaco, Segretario Generale e gli ufficiali di stato civile con delega piena) e non è contemplata la possibilità di delega ad altri soggetti, come privati cittadini”. Un aspetto che, invece, il Consiglio di Stato aveva chiarito nel fornire il suo parere positivo al decreto ponte emanato qualche settimana fa. In quell’occasione, il Cds aveva specificato che il sindaco può delegare chi vuole, per la costituzione dell’unione civile, proprio come accade con i matrimoni.

Nei giorni scorsi, contro la decisione del sindaco Dipiazza di non concedere la sala dei matrimoni per le unioni civili e di celebrarle solo durante la settimana in orari d’ufficio, si era espresso anche il Garante Regionale dei diritti della Persona del Friuli, Walter Citti. Con una lunga lettera inviata sia al comune che al Prefetto, Citti ricorda il comma 20 della legge sulle unioni civili che prevede l’estensione delle leggi e dei regolamenti sul matrimonio anche alle unioni tra persone dello stesso sesso. In caso contrario, secondo il garante, si “violerebbe gli obblighi internazionali al rispetto del principio di parità di trattamento e del divieto di discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale” e si configurerebbe un “palese trattamento sfavorevole ai danni delle coppie omosessuali”.

Il garante non ha dubbi: il comune deve cambiare atteggiamento se non vuole essere tacciato di discriminazione. “Il comportamento sinora tenuto dall’Amministrazione comunale di Trieste – si legge nella lettera -, di non estendere alla costituzione delle unioni civili, gli stessi servizi e ambienti predisposti per la celebrazione dei matrimoni civili, alle medesime condizioni, orari ed eventuali tariffe, è discriminatorio ed in violazione dell’art. 1 comma 20 della legge n. 76/2016, interpretato alla luce degli obblighi alla parità di trattamento e al divieto di discriminazioni fondate, tra l’altro, sull’orientamento sessuale, di cui agli artt. 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali. Si richiede, pertanto, al Comune di Trieste di modificare il proprio comportamento e di adeguarlo ai principi di parità di trattamento e al divieto di discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale”.

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