Quante volte, nelle aule del Senato e della Camera, abbiamo sentito esponenti dei partiti di destra intervenire contro il DDL cirinnà sostenendo che l’iter della legge non fosse regolare e che ci fosse un “conflitto di attribuzione”? Quei parlamentari, una cinquantina, avevano fatto ricorso alla Corte Costituzionale che, però, l’ha dichiarato inammissibile. Il conflitto d’attribuzione tra poteri dello Stato era stato sollevato nei confronti del Presidente del Senato, della Conferenza dei Presidenti dei Gruppi parlamentari del Senato e del Vice Presidente della Commissione giustizia del Senato.
Sul sito della Consulta è stata pubblicata una sintesi che spiega le motivazioni della decisione. “I ricorrenti – si legge – lamentavano uno scorretto andamento dei lavori parlamentari relativi al disegno di legge n. 2081, noto come ddl Cirinnà, conseguente all’adozione di una serie di provvedimenti (abbinamento ad altri disegni di legge e calendarizzazione dei lavori in Assemblea) volti a ridurre indebitamente il suo esame in Commissione giustizia. La Corte – spiega la sintesi – non ha preso posizione sulla legittimazione del singolo parlamentare a sollevare conflitto di attribuzione quale potere dello Stato.
L’inammissibilità è, invece, dovuta al fatto che le irregolarità lamentate dai ricorrenti ineriscono tutte alle modalità di svolgimento dei lavori parlamentari sul d.d.l. n. 2081 come disciplinate dalle norme regolamentari e dalla prassi parlamentare, che debbono trovare all’interno delle stesse Camere gli strumenti intesi a garantirne la corretta applicazione”.
(fonte: Ansa)
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