Sorride, Yuri Guaiana, davanti alle telecamere assiepate nella sede dei radicali milanesi per sentirlo raccontare delle sue ore in arresto, in Russia, dove era andato a consegnare milioni di firme contro l’orrore ceceno. Sorride perché sta bene, e perché sa che almeno una parte del suo compito è andato a buon fine. Lo specifica il leader radicale Marco Cappato, accanto a lui: “Anche grazie a Yuri, l’attenzione del mondo adesso è più alta”.
È stato confermato però che le prigioni accertate che rinchiudono detenuti omosessuali sono sei. Nella prima le associazioni russe hanno stimato all’incirca un centinaio di prigionieri omosessuali. È su questa realtà che, Guaiana lo ricorda più volte, è opportuno tenere alta l’attenzione dei media, anche quando l’Italia non è direttamente coinvolta. Un diritto violato, sintetizza, riguarda tutti, perché “i diritti non hanno frontiere”.
È anche per questo motivo che, come rappresentante della ONG “All Out” si era recato a Mosca, dove vige una legge duramente discriminatoria. Non è legale, spiega, dire o mostrare parole come “gay”, “lesbica” o “transgender”, o simboli associati all’iconografia LGBT. La motivazione addotta è uguale ovunque: proteggere i bambini.
Gli attivisti ne erano consapevoli, e hanno posto ogni cura per rispettare questa assurda legge. Eppure si sono accorti quasi subito, rievoca Guaiana, di essere attesi dalla polizia. Il rispetto della legge non è bastato a evitare l’arresto.
L’attivista italiano spiega di essere stato trattato “correttamente”, anche grazie all’intervento del Console Generale d’Italia, oltre che degli avvocati russi di Simul. “La presenza di un diplomatico straniero” chiosa “ha fatto da garanzia tanto a me quanto ai quattro attivisti russi” coi quali si trovava. Per parte loro, i giovani hanno cercato di rimanere insieme quanto più possibile. A preoccuparlo era soprattutto la sorte degli attivisti russi e, per proteggere la loro incolumità, spiega di aver chiesto e ottenuto che fossero rilasciati prima di lui. Un rilascio, sottolinea, avvenuto senza il pagamento di alcuna cauzione.
Una brutta esperienza non priva però di conseguenze. All’attivista milanese sono contestati lo svolgimento di una manifestazione non autorizzata e la resistenza a pubblico ufficiale. Accuse pretestuose che Guaiana rivendica di aver formalmente rigettato. Il processo si svolgerà, in una data ancora non certa che potrebbe però essere il 29 maggio, e lo vedrà imputato in contumacia. “Valuterò se pagare l’ammenda che indubbiamente mi sarà inflitta”, spiega, “ma ci siamo già impegnati, come Certi Diritti, a farci carico di pagare quelle dei ragazzi russi”. È a loro – Nikita Safronov, Valentina Detiarenko, Marina Dedales e Sasha Alexiej – che il pensiero di Guaiana torna spesso, perché “devono restare lì” è soprattutto per loro che è importante che i riflettori non si spengano, perché è l’attenzione a rendere possibile fare qualcosa.
Ecco il video della presunta manifestazione e del fermo degli attivisti:
Quali siano gli obiettivi lo spiegano Cappato e il segretario nazionale di Certi Diritti Leonardo Monaco: in primo luogo riportare l’attenzione all’urgenza della questione cecena, sottaciuta per decenni. I radicali spingeranno poi perché l’Italia faciliti i visti a chi scappa da un Paese che rifiuta il suo amore. Una mossa, spiegano, che costa poco, non ingenera complicazioni diplomatiche, ma “salva vite”. Ma la mobilitazione non si limiterà al piano nazionale.
L’associazione intende infatti richiedere l’invio d osservatori internazionali in Cecenia, e far richiamare, in sede di Consiglio d’Europa, la Russia al rispetto delle convenzioni sovranazionali. L’intenzione è poi coinvolgere direttamente la Commissione per i Diritti Umani.
A chi domanda se ne valeva la pena, Guaiana risponde sicuro: “Senza dubbio, se mi chiameranno tornerò. Ma la priorità è la sicurezza di chi vive questo ogni giorno”.
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