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Bologna, Corte d’appello applica stepchild adoption per coppia italo-statunitense

Nel 2004, una sentenza di un giudice dell’Oregon disponeva l’adozione di una bambina da parte di una donna italo-americana sposata con la madre biologica della minore. Da quando la famiglia si è trasferita in Italia, la battaglia per l’adozione è rincominciata da zero e solo ora, dopo un lungo iter, la Corte d’appello di Bologna ha accolto le ragioni delle madri dichiarando la sentenza statunitense efficace anche in Italia.

Secondo la Corte, il rifiuto della trascrizione della sentenza americana nei registri dello Stato Civile è illegittima ordinando al Comune di Bologna di procedere. Per i giudici, il fatto che l’ordinamento italiano non preveda la stepchild adoption perde di rilevanza “di fronte alla centralità”, scrivono nella sentenza, “del superiore interesse del minore cui è informato il concetto di ordine pubblico internazionale in questa materia e di fronte ancor ai principi di uguaglianza tra i sessi e di signoria privata e libero sviluppo del singolo nella famiglia”.
La stepchild adoption prevista da altri ordinamenti può quindi trovare applicazione anche in Italia nel caso in cui “realizzi nell’unico modo concretamente immaginabile il benessere del minore”.

Nel caso analizzato, spiega la Corte, le due donne sono una famiglia formata da molti anni le cui capacità genitoriali non sono in discussione e dove non è mai stato segnalato “nessunissimo problema”. Per questo, riconoscere l’efficacia dell’adozione significa “la pratica realizzazione dell’interesse – primario – della minore a mantenere l’ambiente affettivo di sempre”.

Si provi a immaginare il contrario, ragionano i giudici “e ci si convincerà facilmente della mancanza di alternativa a questa decisione” perché il contrario significherebbe o separare una famiglia diversificando lo status dei suoi membri, oppure costringerla a revocare la scelta di vivere in Italia, scelta che invece per l’ordinanza è funzionale al benessere di tutti i suoi membri. Il Comune si era costituito in giudizio sostenendo che il rifiuto di trascrizione era un atto dovuto “in assenza di una normativa nazionale che consenta l’adozione del figlio del partner”.

“Il provvedimento -commenta l’avvocato Pezzi che ha seguito la coppia- rappresenta un ulteriore importante passo nella faticosa affermazione dei diritti civili dei minori e delle coppie omosessuali nel nostro Paese, riaffermando, tra l’altro, l’importante principio di apertura del nostro ordinamento alla dimensione internazionale”.

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