È scritto tutto al femminile e con l’uso della @, il Piano di Non Una di Meno, il movimento contro la violenza maschile sulle donne che oggi torna in piazza a Roma per la sua manifestazione nazionale. Perché “l’italiano è una lingua sessuata” e il maschile non è neutro. Per questo “consapevoli che le lingue mutano e si evolvono, proviamo a rendere il nostro linguaggio inclusivo per avere nuove parole per raccontarci e per modificare i nostri
immaginari”.
Alla vigilia della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, dunque, oggi alle 14 il corteo partirà da piazza della Repubblica per arrivare fino a piazza San Giovanni. In contemporanea, molte altre piazze del mondo si riempiranno di donne (e uomini): dalla Grecia alla Spagna, passando per il Nicaragua e l’Argentina.
Il primo passo è quello dell’educazione, nelle scuole e nelle università. “La prevenzione e il contrasto alla violenza maschile contro le donne – si legge – devono passare attraverso un ripensamento strutturale del sistema educativo e formativo”. Un’educazione alle differenze, potenzialmente infinite, scrivono le attiviste: “Elemento centrale di una visione realmente trasformativa è l’introduzione dell’educazione alle differenze sin dalla primissima
infanzia”. Un’educazione non solo per ragazzi e ragazze, ma anche per il personale docente per cui il Piano Nazionale Formazione Docenti è ritenuto insufficiente. Il Piano definisce che debbano essere “i soggetti stessi (docenti e/o studenti) a fare rete con i servizi presenti sul territorio e che tali strutture vengano a loro volta finanziate adeguatamente per poter svolgere un’attività capillare ed efficace”.
E poi c’è la formazione dei media per “eliminare tutte le narrazioni tossiche”, quella di chi opera nei centri anti violenza e di tutte le figure professionali che si occupano di seguire le donne che escono da percorsi di violenza. Ma non è tutto. Non una di meno chiede di formare anche tutto il mondo del lavoro, dove si consumano molestie e violenze. “La precarietà dilagante, la distruzione dei diritti e delle tutele fondamentali attuata dalle ultime riforme del mercato del lavoro – si legge nel Piano -, l’impoverimento generale causato dalla crisi hanno aumentato a dismisura il livello di ricattabilità delle lavoratrici e delle soggettività LGBT*QIA+, esponendole una volta di più a queste forme di violenza”. Serve, quindi, una “formazione obbligatoria” nei luoghi di lavoro “sulla violenza e le molestie a sfondo sessuale, sessismo, transomofobia e razzismo, che coinvolgano tutto il personale”.
È ancora la libertà di scelta delle donne che deve prevalere per fermare la violenza ostetrica per la quale si chiede anche il riconoscimento a livello giuridico. “Esempi di violenza ostetrica – scrivono le attiviste – sono la derisione che molte donne subiscono in sala parto o il giudizio in caso di aborto, l’imposizione della posizione supina per partorire, il taglio del perineo anche se non necessario, l’induzione al parto senza consenso. Anche l’insistenza sul parto ‘naturale’, senza epidurale, è da considerarsi una violenza ostetrica”.
Ma c’è molto altro ancora nelle quasi sessanta pagine del Piano per cui oggi le strade di Roma vedranno sfilare migliaia di donne e di uomini con uno slogan condiviso #wetogether (noi insieme).
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