Si chiama San Berillo Web Serie Doc e narra la vita del quartiere “a luci rosse” di Catania: è così che vogliono raccontare la città, i ragazzi e le ragazze del Progetto Trame di Quartiere, realizzato nel corso di documentazione audio visiva tenuto da Maria Arena – regista e docente di digital video all’accademia di belle arti di Milano Brera, di Catania e di Palermo – e portato avanti, tra gli altri e le altre, da Massimo Finistrella, uno degli animatori del laboratorio, che ha raccontato a Gaypost da dove è nata l’idea di questa iniziativa.
San Berillo, negli ultimi anni, è stato al centro di diversi interventi dal basso. «Si è costituito un Comitato di Cittadini Attivi che rappresenta tutti gli abitanti del quartiere. Si cerca, tramite una rete di convenzioni con associazioni, di rimediare alle carenze che sussistono» ci dice ancora Finistrella. «Si pensi alla Lila che offre l’unico servizio di supporto psicologico e prevenzione contro le malattie per le prostitute o uno sportello sanitario rivolto agli immigrati». Accanto a queste azioni, anche quella di raccontare quei posti: «Il nostro progetto richiama l’attenzione non partendo esclusivamente dai disagi che il quartiere vive, ma puntiamo anche alle sue potenzialità ».
Una vita non semplice per altro. Anche nel rapporto con le istituzioni: «Nella web serie il rapporto con esse è un aspetto fondamentale. Da un lato le istituzioni hanno chiuso il quartiere murando le porte dei palazzi per evitare nuove occupazioni da parte di senzatetto o prostitute. Sono state poste delle transenne all’ingresso di alcune vie per motivi di sicurezza: il quartiere continua a crollare, senza che si provi a intervenire concretamente». Una soluzione possibile a tutto questo? «Ad esempio un censimento dei proprietari che li chiami direttamente in causa», ipotizza Finistrella.
Ci sono diverse visioni, spesso inconciliabili su questa realtà. «In generale c’è parecchio entusiasmo e voglia di fare. C’è il desiderio di riappropriarsi di questa parte della città» ci dice, ancora, Finistrella «c’è il desiderio di dare una mano a chi ci abita e vive situazioni di disagio». Dall’altra parte, tuttavia, ancora in molti lo considerano come un luogo pericoloso e foriero di delinquenza, sebbene tale visione stia gradualmente trasformandosi.
Questo “giardino comunitario” dovrebbe diventare punto di ritrovo per gli abitanti del quartiere e offrire servizi e attività di integrazione. Per offrire non solo l’occasione di raccontarsi, uno spazio dove vivere (e non solo sopravvivere), ma anche un luogo dove poterlo fare.
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