La notizia del primario omofobo che in provincia di Varese ha inveito contro il paziente, in sala operatoria, ha giustamente suscitato in tutti e tutte noi un dovuto senso di biasimo. «Non è giusto che in questo periodo di emergenza io debba perdere tempo per operare questi froci» sarebbero state le parole del medico, poco prima di cominciare un intervento chirurgico su un uomo presumibilmente omosessuale. Secondo quanto racconta il Corriere.it – i fatti si sarebbero verificati a marzo, in piena emergenza covid-19, ma la cosa è emersa solo in questi giorni – i medici di quello stesso ospedale avrebbero denunciato le dichiarazioni omofobe del chirurgo.
La Stampa chiarisce ancora meglio ciò che è successo in sala operatoria. L’esposto è stato presentato «da una persona presente all’intervento» in data 25 marzo. Il primario «durante l’intervento, cominciava a innervosirsi senza motivo apparente, nonostante il paziente reggesse bene l’anestesia generale» e quindi ad un certo punto, gli insulti: «Ma guardate se io devo operare questo frocio di merda…». Ciò che emerge, dal quadro, non è solo l’omofobia del medico, ma anche un modo di pensare il concetto di cura: non un servizio che si deve al malato, ma qualcosa da meritarsi in base a codici di comportamento.
Diverse volte, in questi mesi, si sono viste frasi sorrette da motivazioni del genere sulle bacheche di molti e molte utenti, sui social. Dai runner a chi usciva a far la spesa, dai ragazzi che hanno ricominciato a vivere la loro vita a lockdown finito sui Navigli fino e molte altre categorie ancora: tutte queste persone, secondo chi agitava ed esibiva il proprio scandalo sulla propria tastiera, in caso di contagio non avrebbero meritato le cure. Un comportamento ritenuto “deviante” – che sia la corsa, la spesa, l’aperitivo, ecc – è divenuto in quei casi più importante del senso di umanità, in nome di un’emergenza.
È la stessa dinamica che ha usato il primario omofobo: il suo paziente non meritava le cure, in nome di urgenze maggiori. Per il suo vissuto sessuale. Teniamolo a mente quando la nostra indignazione ci farà produrre giudizi e soluzioni (finali) mosse più dalle nostre viscere che dall’intelletto e la ragione. Per quanto possano essere fondate le nostre paure, più che legittime. Ma tenendo a mente che la disumanità non ha mai giustificazione. C’è solo violenza, in essa. E poco importa che sia prodotta nel sicuro delle nostre abitazioni e nello sterile perimetro di una sala operatoria. Il risultato, a ben vedere, non cambia.
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