La stanza dei canarini è silenziosa. Sembrerebbe così innocua la scrittura di Giulia Contini, così rassicurante alle prime pagine di un romanzo che – senza girarci intorno – parla d’amore. Quando me ne sono resa conto davvero, nella stanza dei canarini ha iniziato a esserci un gran rumore, un fruscio di parole vorticose che creano un turbine emotivo in chi legge. Perché in quella stanza, almeno una volta, ci siamo stat* tutt*. E ci siamo ancora.
Mi sono detta che ero già abbastanza allenata alla lettura di drammi amorosi, che avevo già abbastanza esperienza da lettrice dopo aver affrontato Jeanette Winterson e la nostra Delia Vaccarello. Il punto è che Giulia Contini mi ha smentita e non somiglia a nient’altro, battezzandomi nuovamente al cospetto dell’incredulità. Per fortuna. Perché la storia d’amore tra Giulia e Adele sfugge magistralmente dal genere letterario, si inerpica semplicemente nella verticalità dello stomaco e si espande nei sospiri di chi legge, pagina dopo pagina.
La scrittura di Giulia Contini si mette in pari con la complessità e il ritmo dell’amore, anche quando esiste di essere impulso vitale, propulsione sanguigna che ti tiene in vita. Ad un certo punto il fruscio dei canarini si placa, come i battiti di un cuore in corsa quando rallenta, come l’amore tra due persone che hanno imparato ad amarsi e sanno che stanno smettendo.
Perché è questo che succede quando due si lasciano. Succede che uno decide di morire per l’altro. Si spegne una luce che prima era accesa e resta al buio una porzione di spazio. La metà di un letto, di un armadio, di un abbraccio.
Questo è un romanzo che parla anche di mancanza e di crescita. E soprattutto di scelte e ruoli disattesi. Che ci sia silenzio o rumore, nella stanza dei canarini affrontiamo la nostra solitudine e dovremmo fare i conti con la verità che insiste nel premere le nostre vite contro delle finestre chiuse, costringendoci ad avere memoria di ciò che è stato e facciamo fatica a lasciare volare via.
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