Si celebra oggi il Safer Internet Day, che in Italia coincide con la prima Giornata contro il bullismo. In questa data, oltre cento paesi si impegnano a promuovere un uso più sicuro e responsabile dei nuovi media tra bambini e adolescenti. È proprio sul web, infatti, che si consumano le peggiori violenze di gruppo contro quei soggetti ritenuti deboli, estranei dalla “norma” e quindi da emarginare e bullizzare.
Mentre pensavo a tutto questo, mi sono accorto che ci concentriamo sul mondo giovanile, giustamente, ma raramente ci interroghiamo su cosa possiamo fare noi, genitori e insegnanti soprattutto, per fare la differenza tra le giovani generazioni. Perché sarebbe ora di cominciare a dirlo: l’odio verso il diverso viene appreso dal mondo degli adulti. Succede già con il razzismo, quando in tv sentiamo il leader populista e/o di destra più o meno estrema parlare di “emigrazione” trasformandola in sinonimo di sciagura. In egual modo, impariamo a deridere qualcuno per le proprie fattezze, per la propria sessualità, per il suo non essere come dovrebbe. I “grandi”, in tutto questo, sono da esempio. Purtroppo.
Dal fantomatico mondo degli adulti voglio riportare un recente titolo della Gazzetta dell’Adda: “Nessun tabù a scuola: si parla pure di «froci»”. Si notino l’infelice scelta lessicale e la scandalosa presenza di caporali, che dovrebbero introdurre il discorso diretto e non connotare i termini evidenziati. Basterebbero solo queste osservazioni per capire che non tutti possono parlare impunemente di scuola. Ma partirò da questo esempio per ricordare che la nostra cultura, soprattutto quella scolastica, ha in sé la soluzione al problema dell’omofobia e delle sue emanazioni, bullismo incluso. La stessa letteratura ci viene in aiuto, al proposito.
«Poi si rivolse, e parve di coloro
che corrono a Verona il drappo verde
per la campagna; e parve di costoro
quelli che vince, non colui che perde.»
Brunetto torna nella schiera maledetta, ma non ne esce sconfitto. Anzi. Brunetto assurge a gloria poetica, imperitura. L'”omofobia” di quel tempo la lasciamo a una temperie culturale che non a caso oggi definiamo come medievale.
Ho scritto tutto questo non solo perché sono un insegnante e credo profondamente nel valore edificante della letteratura, in quella capacità cioè di creare civiltà, ma anche perché dobbiamo gestire un’eredità – in quanto individui, in quanto adulti, in quanto professionisti e soprattutto anche in quanto “abitanti” di questo paese – che non può mescolarsi alla volgarità e all’insipienza della discriminazione, della violenza sul più debole, del non saper riconoscere l’altro/a, della non accoglienza. In una frase sola: non possiamo permetterci l’ignoranza. Questo ci insegna uno dei padri nobili della nostra cultura. Questo è ciò che dobbiamo imparare a trasmettere a chi viene dopo di noi. O non avremo la credibilità per parlare di lotta a diseguaglianze e violenze. In qualsiasi loro forma.
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