Lo spettro del gender, che da due anni e mezzo sembra aleggiare in ogni luogo, è riuscito a infiltrarsi anche a “Tempo di Libri”, la fiera dell’editoria conclusasi a Milano lo scorso 23 aprile. Ad occuparsene due delle più attente osservatrici che lo hanno trattato di recente. La docente della Sorbonne e filosofa morale Michela Marzano e la bioeticista Chiara Lalli.
Non è una novità neanche l’uso del concetto di “ordine naturale delle cose” che, chiarisce Lalli, non è che un assurdo. In primo luogo perché il concetto di natura può avere infiniti significati, e poi perché anche la natura intesa come biologia mostra un enorme quantità di varietà. Le stesse varietà che si accusa i presunti “teorici gender” di voler eliminare. Una accusa che le autrici di “Mamma papà e gender” e di “Tutti pazzi per il gender” respingono con decisione. Il loro intento, invece, è quello non di cancellare le differenze, ma di fornire una descrizione precisa di ciascuna di esse, di dare strumenti precisi di comprensione.
Un metodo di polemica di cui però è inutile stupirsi, annota Marzano. Dal suo punto di vista di docente a Parigi ha infatti potuto notare che in Francia si è verificato esattamente allo stesso modo quando Holland ha deciso di mantenere la parola data agli elettori sul “Matrimonio per tutti”. La differenza con l’Italia però, secondo la filosofa, è che la legge non è stata modificata dagli umori della piazza, mentre nel nostro Paese è stato soprattutto questo a farne una legge che ha “sancito una disuguaglianza”. L’esempio più vistoso è stato l’eliminazione metodica della parola “famiglia”. L’obbligo a usare un altro termine ci rende “incapaci di definire le cose”, e lascia dentro alle parole lo spazio a chi è interessato a generare confusione.
Questo avviene anche con le parole già divenute legge. Si è spesso fatto leva, per non riconoscere diritti alle famiglie arcobaleno, all’articolo 29. Lo si leggeva però fermandosi alla dicitura “società naturale” nel senso di incontro biologico e riproduttivo fra maschio e femmina. Ci si dimentica il riferimento “fondata sul matrimonio” che è un istituto umano, legale, non biologico. Un controsenso? Un errore della Costituente?
Anche l’unione fra maschio e femmina – spiegano – non va intesa biologicamente. È invece una compresenza di ruoli, di funzioni definite non dalle cellule sessuate, bensì da un compito di accudimento e uno di definizione di limiti che si assumono nel momento in cui si decide di crescere un figlio. Si deve tornare – lontani da qualsiasi accusa di volerle eliminare, parlando di genitore 1 e 2 – a considerare quello di genitore come il ruolo importante, al di fuori dell’identità di genere, “tornare a un simbolico”. È questo a contare, sintetizzano, anziché una “natura” vista come impositiva che non è che la stessa per la quale esistono le malattie che ogni giorno combattiamo “con artificialissime medicine”.
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