Alla ricerca forse di una forma di compensazione, per presentarlo, alla Feltrinelli di Milano, si è fatto sostenere da due esperti di ironia, quella da intendersi, con Romain Gary, come «una dichiarazione di dignità. L’affermazione della superiorità dell’essere umano su quello che gli capita»: Carlo Gabardini e Lella Costa. Due artisti abituati a non farsi mai da parte, quando si parla di comunità LGBT, ben consapevoli dell’importanza di un testo rigoroso sul piano documentale come quello di Battaglia, “etico e necessario”. In primo luogo perché dimostra come la violenza verbale diventata comune con gli avvenimenti dell’ultimo anno, non è altro che «una punteggiatura ciclica della storia». Se infatti politici come Rocco Buttiglione hanno potuto di recente accostare l’omosessualità all’evasione fiscale, ponendo sullo stesso piano un reato e una condizione esistenziale, mentre colleghi di entrambi gli schieramenti accostavano alla parola gay termini come “campi di concentramento”, “foibe”, “garrote”, è anche perché simili atteggiamenti si radicano lungo la storia italiana.
Dove, come in Italia, si è preferito tacere, non può stupire che, anche quando si sono approvate le unioni civili, giace come lettera morta in Parlamento una legge che prevede l’aggravante per le aggressioni omofobiche, ma con un emendamento, a nome Gitti, che norma l’impossibilità di applicarla rispetto al discorso politico. Quello stesso discorso politico, annota Gabardini, che diventa legittimante per la discussione quotidiana e per l’agire dei cittadini che, se additano come diverso un omosessuale, sono sostenuti da leggi che certificano una separazione. «Lo Stato non potrebbe perseguire gli omofobi, è il primo», sintetizza l’attore. Una omofobia da cui nessuna parte politica è immune, anche sul piano storico. Se a destra si sprecano gli esempi, a sinistra non si distinguono solo i teodem. Anche il PCI, quando non allontanava i propri militanti per indegnità morale (come accaduto a Pasolini) predicava il silenzio sulla propria condotta privata anche nel Sessantotto e negli anni del preteso cambiamento.
Lella Costa conclude amara “Si è lasciato che la politica non fosse guida, e gridasse parole che hanno fatto morti». Ma, chiarisce Battaglia, occorre guardare al futuro. Dare alla politica l’intera responsabilità rischia di trasformarsi «in un alibi». Ma il fatto che si siano verificati casi come quello per cui l’articolo di Repubblica – che accostava il termine “flop” alle persone, valutando i diritti in termini di quantità – ha causato uno sdegno pressoché unanime: il cambiamento può partire dal basso.
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