Tornando sulla legge 194: lo aveva fatto presente poche settimane fa il comitato della carta sociale europea, organo del Consiglio d’Europa: nel nostro Paese le disparità d’accesso rispetto all’interruzione volontaria di gravidanza sono, a livello locale e regionale, una certezza.
Personale medico non formato, spazi non sicuri, libera scelta osteggiata, obiettori e obiettrici di coscienza presenti da nord a sud con percentuali spaventose, pillola abortiva introvabile, tempi di attesa allungati all’infinto: il comitato già nel 2018 aveva evidenziato come obiettori e obiettrici di coscienza continuino ad aumentare e come il 5% delle interruzioni di gravidanza è eseguito in una regione diversa da quella di residenza denunciando come “il governo non fornisca alcuna informazione sul numero o percentuale di domande d’aborto che non hanno potuto essere soddisfatte in un determinato ospedale o regione a causa del numero insufficiente di medici non obiettori”.
Sebbene il diritto all’aborto in Italia sia sancito dalla legge 194/78 troviamo molte differenze nell’applicazione di tale legge a seconda delle regioni in cui andiamo a controllare: ecco i dati del Ministero della Salute.
Come si interrompe una gravidanza? Esistono il metodo chirurgico (operazione vera e propria) e il metodo farmacologico (con la RU486): differenti tempi e modalità garantiscono il servizio (che rientra nei LEA, a seguire la spiegazione) lungo un arco temporale anche abbastanza ampio, in teoria.
Cosa sono i “LEA”? Sono i Livelli Essenziali di Assistenza e l’aborto in Italia vi rientra: il Servizio Sanitario Nazionale è dunque tenuto sempre a offrire. Perché è importante saperlo: perché la legge che tutela il diritto all’aborto parla anche di tempi entro i quali praticarlo. L’interruzione volontaria di gravidanza può essere richiesta entro i primi 90 giorni di gestazione per motivi di salute, economici, sociali o familiari.
Tutelate dalla Legge, ma occorre conoscerla: è l’articolo 5 della legge 194/1978 a mettere nero su bianco che “quando il medico del consultorio o della struttura socio-sanitaria o il medico di fiducia riscontra l’esistenza di condizioni tali da rendere urgente l’intervento, rilascia immediatamente alla donna un certificato” che la donna deve presentare per sottoporsi all’interruzione volontaria della gravidanza oppure, se non viene accertata l’urgenza, viene rilasciato un altro certificato che attesta lo stato di gravidanza e la richiesta di interruzione ed è un documento che costituisce “titolo per ottenere in via d’urgenza l’intervento”.
La donna è invitata a “soprassedere per 7 giorni”: la stessa legge che tutela il nostro diritto di interrompere una gravidanza mette, sempre nero su bianco, che il medico che ci rilascia il certificato deve invitarci a soprassedere per un periodo di 7 giorni. Che vuol dire? Vuol dire che dalla data di rilascio del certificato devono passare 7 giorni prima che la donna possa esercitare un suo diritto. La ragione non è né di ordine legale né di ordine sanitario: è di ordine morale.
Il tasso di abortività a Nord è di 6.3, al Centro Italia di 6.4, a Sud 5.6 e nelle isole 4.9 (ogni mille donne). L’aborto farmacologico con la pillola RU486 viene eseguito nel 24,2% a livello nazionale.
Obiettori e obiettrici di coscienza: partendo dalla Valle d’Aosta dove sono soltanto il 7,7 % in generale a Nord troviamo meno obiettori e obiettrici escludendo la Provincia autonoma di Bolzano (87,2%). In Molise la percentuale giunge al 93,2 per cento. A Sud Italia – basta guardare l’immagine – la percentuale è molto alta meno che in Sardegna con un livello di obiezione del 57,7%.
I tempi di attesa dalla consegna del certificato alla pratica abortiva sono superiori a 7 giorni.
Secondo il Ministero della Salute i tempi di attesa elevati possono essere sintomo di difficoltà nell’applicazione della Legge 194 del 1978.
I dati raccontano differenze sostanziali di regione in regione: una situazione che certifica una discriminazione su base territoriale poiché se una donna desidera abortire in Val d’Aosta non trova ostacoli, mentre ne incontra eccome se risiede e quindi desidera abortire in Sicilia. Il fattore denaro incide eccome: chi non può permettersi di spostarsi di regione cosa dovrebbe fare? Vedendo i tempi che si allungano e l’aborto allontanarsi all’orizzonte alcune donne scelgono di portare avanti una gravidanza indesiderata.
Ancora oggi il metodo più diffuso per abortire è quello chirurgico: un dato che potrebbe essere legato proprio alle tempistiche dilatate. Infatti l’aborto farmacologico indotto da farmaci a base di mifepristone (RU486) e prostaglandine può essere eseguito soltanto entro le prime 9 settimane (o 7 nel caso delle Marche).
In generale, entrambi i metodi non sono consentiti oltre le 12 settimane: la legge 194 prevede l’interruzione volontaria di gravidanza oltre questo termine solo in caso di rischi per la salute della donna.
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