Generalmente quando ci si trova davanti a due ragazze etero che si baciano si tende ad interpretare questo comportamento come gioco. Ma se lo stesso comportamento lo hanno due ragazzi etero, l’immaginario collettivo categorizza questo gesto quasi automaticamente come “gay”. Questa differenza di posizioni ha derivazioni per lo più socio-culturali che sono basati su stereotipi riguardo i due sessi; basti pensare, infatti, che una delle fantasie più comuni dell’uomo eterosessuale riguarda proprio comportamenti intimi-sessuali tra due donne.
La tesi interessante proposta da Ward a proposito del bro job vuole che i maschi eterosessuali mettano in pratica questo tipo di sessualità quasi a voler ulteriormente rafforzare il proprio orientamento eterosessuale, vivendo liberamente la propria sessualità e senza nessun tipo di conseguenza sul proprio orientamento.
Sicuramente ciò può apparire bizzarro proprio perché tali atteggiamenti e comportamenti sessuali escono fuori da schemi tipici e categorizzati, o semplicemente passano al vaglio del pregiudizio che indica, quasi banalmente, questi uomini come gay o bisessuali senza tenere conto di una dimensione importante: quella della trasgressione.
Trasgredire, infatti, è tutto ciò che appare singolare e “diverso” nell’immaginario di ogni essere umano, un’esperienza che prevede un nuovo spazio di azione, da un altro punto di vista. Dal punto di vista sessuale, non è espressione unicamente della novità erotica, ma anche della sperimentazione reale di bisogni impliciti di ogni individuo.
Ponendosi, dunque, con un’ottica non giudicante verso questo tipo di comportamento sessuale da parte del maschile, si potrebbe indagare anche su come la sessualità maschile si stia sviluppando ed evolvendo, attualmente, verso una maggiore fluidità, in modo del tutto indipendente dall’orientamento sessuale.
Ciò che è importante sottolineare nel fenomeno del bro job, come per ogni dimensione della vita psico-sessuale degli individui, è l’importanza di vivere la propria sessualità in modo sereno, senza dover necessariamente rispondere ad un modello culturalmente (e stereotipicamente) condiviso, ma che permetta di esprimere se stessi, nel pieno rispetto di sé e dell’altro diverso da sé, senza difficoltà o problematiche.
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