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Adinolfi: “Varani ucciso perché a favore della famiglia tradizionale”

Non sono ancora del tutto chiarite la dinamica e le circostanze del tremendo delitto di Roma, in cui due trentenni hanno massacrato Luca Varani, 23 anni, dopo aver assunto cocaina per 1500 euro e un fiume di alcol, che c’è già chi ha stabilito quale sia il movente. Stiamo parlando di Mario Adinolfi, candidato a sindaco di Roma con il partito da lui da poco fondato, il Popolo della Famiglia.

Adinolfi prende spunto dall’ultimo post pubblicato da Varani sul suo profilo Facebook per spiegare che i due rei confessi l’avrebbero scelto per le sue posizioni a favore della “famiglia tradizionale”. “L’ultimo post del povero Luca Varani su Facebook – scrive il direttore de La Croce sul proprio profilo social – è un’immagine biblica con la scritta: Dio creò Adamo ed Eva, non Adamo e Claudio. Citati due hashtag: ‪#‎noaimatrimonigayinItalia‬ e ‪#‎Wlafamiglia‬. Se l’avessi pubblicata io mi avrebbero dato dell’omofobo per settimane e gli insulti carichi d’odio e violenza che sarebbero piovuti da parte di un segmento del mondo Lgbt li conoscete già, perché sono quelli che leggete qui tutti i giorni.
Luca Varani è stato ucciso nella maniera più brutale possibile da due gay che lo hanno stordito, drogato, torturato e infine ammazzato. I due si chiamano Manuel Foffo e Marco Prato, quest’ultimo è un noto organizzatore di eventi che a Roma hanno attratto frotte di gay giovani e meno giovani”.

Ignorando del tutto quanto ha dichiarato lo stesso Foffo agli investigatori (potete vedere leggere il verbale qui) Adinolfi sostiene che Foffo e Prato, i due autori del tremendo omicidio, fossero innamorati e passassero le giornate a fare sesso e consumare cocaina. Il racconto di Foffo, invece, dice tutt’altro. Il giovane dichiara di essere eterosessuale e di avere conosciuto Prato durante l’ultimo Capodanno quando, dopo aver consumato della cocaina, i due hanno fatto del sesso orale. A mente lucida, Foffo avrebbe poi non gradito la cosa ed evitato di incontrare di nuovo Prato. I due si sarebbero rivisti solo un’altra volta intorno ai primi di gennaio e poi lo scorso week end, quando si è consumato il delitto. Foffo nega che ci sia stato sesso, in quei giorni che si sono conclusi con la tortura e la morte di Varani e sostiene che quest’ultimo si prostituisse (ed è questa, forse, la ragione per cui, secondo il racconto di Foffo, Varani giunto a casa sua si sarebbe spogliato quasi immediatamente). Tutto, naturalmente, è al vaglio degli inquirenti e si attende il referto dell’autopsia per sapere con esattezza come i due si sono accaniti sul corpo di Varani fino a farlo morire.

Foffo ha ripetuto agli inquirenti di avere deciso insieme a Prato di aver deciso di uccidere qualcuno per “vedere che effetto fa” e di avere cercato qualcun altro, prima di Varani, ma senza trovarlo. Niente c’entrano, dunque, le posizioni di Varani sul matrimonio per le coppie gay e la famiglia, né, ovviamente, l’orientamento sessuale dei suoi assassini. Lo si deduce chiaramente dal verbale. L’occasione è ghiotta, però, perché uno dei leader del Family Day non ne approfitti.
Il candidato del Pdf al Campidoglio cavalca l’ipotesi del “festino gay” a base di “sesso e droga”, senza avere alcun elemento concreto a supporto delle sue teorie, al netto dell’appello a un immaginario distorto e omofobo che vuole un collegamento tra l’essere gay (cosa che si sa con certezza solo di Prato) e uno stile di vita talmente dissoluto, dedito al sesso disordinato e al consumo spasmodico di droghe, da condurre a comportamenti criminali. Perché se non è a questo che ci si riferisce, allora, dovremmo parlare di eterosessualità, invece che di crimine, quando parliamo ad esempio della cosiddetta “coppia dell’acido”.
Infine, Adinolfi ipotizza che dietro al fatto che i principali quotidiani nazionali non abbiano (giustamente, aggiungiamo noi) dato particolare rilievo all’orientamento di Prato, l’azione della solita “lobby gay”. Avere letto i verbali delle dichiarazioni del reo confesso e le prime ricostruzioni dei fatti, naturalmente, è un esercizio che un giornalista non ritiene opportuno fare.

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