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Leopardi era gay: la giustizia biografica di “Silvia è un anagramma”

«Ho scritto Silvia è un anagramma non certo perché mi interessava dire che Giacomo Leopardi fosse omosessuale…» mi rivela questo, al telefono, Franco Buffoni parlandomi del suo nuovo libro. Eppure sembra questa la notizia più dirompente, che ha messo in subbuglio il mondo accademico. Giacomo Leopardi era omosessuale. E amava Antonio Ranieri. Ed è inutile girarci intorno: c’è voluto questo libro, edito da Marcos y Marcos, per restituire la dovuta dignità a una delle colonne portanti della nostra letteratura.

Silvia è un anagramma: per “giustizia biografica”

Eppure no, quest’opera di “giustizia biografica”, come leggiamo nel sottotitolo del volumetto, non ha come scopo quello di ricordare l’orientamento sessuale di uno dei protagonisti indiscussi della letteratura italiana. «Volevo parlare della cultura omosessuale nell’Italia di quel tempo», mi rivela Buffoni, in quella che è cominciata come una chiacchierata ed è divenuta un’intervista sui generis per Gaypost.it. Una panoramica sulla vita degli omosessuali nel nostro paese, da metà ottocento fino ai nostri giorni.

Il mondo accademico in rivolta

Silvia è un anagramma, la copertina

Eppure il mondo accademico non ha ben accolto la notizia. Non certo perché fosse un mistero, l’omosessualità dell’autore di A Silvia. Bensì perché Buffoni toglie il velo alla più scomoda delle verità: quella che l’autore definisce come il “neutro accademico eterosessuale”. L’università italiana, a partire dai suoi maggiori luminari, sembra avere un problema di omofobia. Interiorizzata o meno, poco importa. E infatti, appena le cose hanno avuto il nome che dovevano avere – Leopardi era gay e amava Antonio Ranieri – c’è stato un coro di prese di posizione, di distinguo, di precisazioni. Riassumibili con: anche se fosse, l’omosessualità di Leopardi non è importante per definirne l’opera e non ne inficia il valore poetico.

Un paradigma profondamente sbagliato

Proviamo a procedere per sostituzioni: “non importa che Primo Levi fosse ebreo e ciò non rende meno importanti le sue opere”. O ancora: “non importa che Emily Dickinson fosse donna e ciò non toglie valore alla sua poesia”. Saremmo accusati, e giustamente, di antisemitismo o di sessismo. Certa accademia italiana, ignorante in materia di studi di genere, non comprende la gravità di certe affermazioni. E continua a rapportarsi con imbarazzo di fronte all’orientamento sessuale – almeno quello “non conforme” – di autori e (poche) autrici. Omofobo e maschilista: questo il paradigma che ha formato e continua a formare centinaia di migliaia di adolescenti e di insegnanti, nel nostro Paese. Lo stesso non accade però con D’Annunzio, la cui storiella delle costole è felice gossip di cui non si fa mistero nelle nostre aule.

Passando per Mazzini e Mameli

Eppure, la denuncia di Buffoni è mera conseguenza. Non è frutto di una vendetta, il contenuto di Silvia è un anagramma. La giustizia, anche nella sua versione “biografica”, non ha bisogno di vendette. Si accontenta di dare, appunto, un nome alle cose. E tra queste cose, vediamo non solo la storia d’amore tra “il contino” e Ranieri. Vediamo anche il rapporto tra Mazzini e Mameli – chissà che avrà da dire Giorgia Meloni, quando verrà a scoprirlo… – o quello, molto conflittuale e ben meno nobile, di Montale nei confronti dell’omosessualità di molti autori suoi contemporanei. Passando per Pascoli e molti altri.

Un sistema culturale che procede per amputazioni

Franco Buffoni

Mai nessuno, tra scuola e università, ha mai raccontato tutto questo e molto altro ancora. Non nei programmi ufficiali. Certo, non succede lo stesso con Oscar Wilde e altri autori, tutti stranieri, su cui non si tace di certo: un po’ come accade in certe famiglie. Molto liberali quando l’omosessuale è a casa d’altri. Un po’ meno quando sta dentro le mura di casa… Siamo figli e figlie, d’altronde, di un sistema culturale che procede per amputazioni. Letterarie e di identità (anche sessuale). Poi chissà perché cresciamo adolescenti che in età adulta non si raccapezzano con quel senso profondo di umanità che la scuola dovrebbe instillare nelle coscienze. Scuola e università, se continueranno su questa falsariga, saranno complici di questo degrado. Umano, in primis. Perché non si crea una società solida, costruendola su non detti e vergogna. E bisogna dirlo a chiare lettere, con ogni mezzo possibile.

Silvia è un anagramma, un libro urgente

Buffoni compie, con Silvia è un anagramma, un passaggio di restituzione biografica, non solo di “giustizia”: in questo volume tocca l’intimo (omosessuale) di molti scrittori del nostro canone letterario. E dopo aver letto queste pagine, guarderete all’indice dei libri di testo se non con sospetto, almeno con qualche domanda in più. Il dubbio, per altro, è quella cosa che ci fa progredire. Opera profondamente militante, in cui Buffoni modula il suo vasto sapere – letterario e non – con le corde della verità. E in tempi in cui il sottaciuto è maniera e la censura è strumento, è un libro di cui si sentiva l’urgenza.

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