Divieto di manifestazioni ed eventi culturali a tematica Lgbt: è quanto sta succedendo in Turchia, nella capitale Ankara, dal 18 novembre scorso. Il governatore della città, infatti, ha indetto tali misure restrittive nei confronti della gay community locale per questioni di ordine pubblico.
«Già la scorsa settimana ad Ankara era stato vietato un festival di film gay in lingua tedesca» si legge su Repubblica.it, che riporta la notizia. Festiva «che oltre alle pellicole prevedeva dibattiti, mostre ed eventi su temi Lgbt, ufficialmente per paura che istigasse all’odio e fosse a rischio di attacchi terroristici». La giustificazione, verso quello che si configura come un vero e proprio atto di censura, è infatti questa: la presenza della comunità arcobaleno nel paese mediorientale indurrebbe la società a irrigidirsi e porterebbe i gruppi più estremisti a organizzare attentati terroristici. Solo che le istituzioni invece di intervenire sul problema – l’omofobia sociale – ha preferito silenziare le vittime del sistema.
Non è la prima volta che il paese musulmano si qualifica per atteggiamenti di aperta ostilità contro gay, lesbiche e trans. Negli ultimi anni il governo di Recep Tayyip Erdoğan, insieme alle autorità locali, ha avviato una vera e propria politica antigay, vietando a più riprese il pride di Istanbul. Segno dell’involuzione confessionale – il partito di Erdoğan è islamista – e autoritaria del “nuovo corso” in atto in Turchia. Un segno di involuzione rispetto al passato. La Turchia, infatti, fu il primo paese di fede musulmana ad avere il suo pride nel 2003. Gli attivisti, intanto, denunciano un clima di intimidazioni sempre crescente, denunciando violenze e – in alcuni casi – anche abusi sessuali e stupri ai loro danni.
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