Una scena della rivolta
Data importante, per la nostra storia di italiani e italiane, quella del 27 settembre, perché nel 1943 vi furono le Quattro Giornate di Napoli, una pagina importantissima nella storia della Resistenza e dell’Italia democratica e libera. Ma è una data importante quella di oggi per la nostra storia di persone Lgbt. Perché a fare del nostro Paese un posto migliore in cui vivere, scesero a combattere anche i femminielli napoletani, come ci ricorda un articolo su L’Espresso a firma di Luigi Mastrodonato.
«Quando scoppiarono le insurrezioni, i femminielli scesero in strada sparando al fianco di noialtri» si legge nel pezzo, in cui si riportano le parole del partigiano Antonio Amoretti, uno dei pochi rimasti in vita dall’episodio di allora. «Si trattava» continua ancora «di maschi omosessuali travestiti da donna, presenti a decine nel quartiere dove erano soliti riunirsi in un terreno nella zona di Piazza Carlo III». Fu un anno molto difficile, quello. L’Italia meridionale era sotto l’occupazione nazista e – riporta Mastrodonato – si chiamarono alle armi anche i civili. Le donne napoletane, per cercare di salvare le loro famiglie, i loro uomini e i loro figli, scelsero di ribellarsi. In questo atto di disobbedienza, arrivò l’alleanza dei femminielli.
Uno dei rastrellamenti a Napoli
«Quando ci fu la barricata a San Giovanniello» ricorda ancora Amoretti «i femminielli erano in prima linea, secondo la logica che non avevano niente da perdere: non avevano figli, la famiglia li aveva ripudiati e la società li rispettava culturalmente ma comunque entro certi limiti». Potevano, insomma, starsene a guardare e “restituire” il favore dell’indifferenza o del risentimento a una società che li aveva marginalizzati. E invece scelsero l’unica cosa che c’era da fare: combattere l’ingiustizia. «Abituati a fronteggiare la polizia e il potere, i femminielli non si tirarono indietro davanti all’occupazione nazista».
Non vogliamo “spoilerare” l’articolo, a cui vi rimandiamo. È bello, tuttavia, riscontrare l’alleanza tra soggetti marginalizzati (i femminielli) e le donne, che di un sistema di potere ancora lontano dal mettere in discussione il suo carattere maschilista, sessista e patriarcale pagavano tutti svantaggi. Dovrebbe riempirci d’orgoglio il fatto che la lotta al nazi-fascismo abbia anche i colori dell’arcobaleno. In tempi di revisionismo storico, come quello in cui stiamo vivendo, e di confusione ideologico-identitaria, per cui abbiamo persone Lgbt a capo di partiti di estrema destra – per tacere di voci interne al nostro movimento, che fanno distinzioni odiose tra donne e trans – fa bene ricordare da dove parte la nostra storia. Che è una storia di liberazione.
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