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Un anno dopo “Svegliati Italia”: l’Italia s’è desta? E noi?

Avevo pensato di iniziare questo post in modo leggero, con: è passato un anno e siamo qua, sotto i fari di questa realtà…. Ma poi ho capito che questa “colta” citazione dell’incipit di Batte forte delle Lollipop l’avrebbero capita solo in cinque: le Lollipop, appunto.

La verità è che scrivere questo post è difficile, perché mi sembra di ripetere all’infinito sempre le stesse cose, semplicemente perché le cose non cambiano, o se cambiano lo fanno solo in parte lasciando indietro alcuni, e in ogni caso spostandosi in avanti solo di pochi centimetri.

Svegliati Italia. E poi?

Svegliati Italia a Brescia

Un anno fa circa, il 23 Gennaio 2016, l’Italia più bella, quella che rivendicava i diritti e la piena uguaglianza, è scesa in piazza o meglio nelle piazze. Più di un milione di persone che chiedeva al Parlamento italiano di svegliarsi e colmare la diseguaglianza subita dalle coppie omosessuali.
Anche io ero in piazza, a Bologna, insieme a Luca. Ero in piazza perché speravo che quella mobilitazione facesse la differenza. Se l’abbia fatta o meno non saprei dirlo (speravamo le cose andassero meglio, e magari senza alzare la voce le cose sarebbero andate peggio), di certo il risultato non si può dire che sia stato raggiunto al cento per cento.

Nel mese di Febbraio poi accadde di tutto, fino all’approvazione in Senato di una legge monca di parti importanti, per via di spallate sia dei Cinque Stelle che interne al Pd (e non mi dilungherò di certo su questo).
Incassate le unioni civili le principali associazioni fecero una nuova mobilitazione, Diritti alla meta.
L’impegno? Puntare dall’indomani al matrimonio egualitario e al riconoscimento delle famiglie omogenitoriali.
Ero in quella piazza a Roma, nuovamente insieme a Luca, e ancora speravo.

Il palco della manifestazione del 5 marzo a Roma

E poi?
Poi più nulla, e questo immobilismo mi tormenta, non mi da pace.
Trovo bellissimo e sacrosanto (e l’ho già detto altrove) festeggiare i diritti acquisiti, ma come possiamo dimenticare tutto quel pezzo che ci manca per la piena uguaglianza?

Il rischio della trappola

Proprio ieri parlavo con la mamma di un compagnetto di nido di Luca a proposito dell’iscrizione alla materna, e le spiegavo che io avrei presentato la domanda come genitore single.
Lei ha sgranato gli occhi, incredula, e mi ha detto: “ma come scusa, adesso che vi potete sposare non avete risolto anche la questione della paternità di Luca?”.
Ho dovuto spiegarle tutto. Ovvero che per quanto riguarda la genitorialità le cose stanno esattamente come prima; che Luca (e adesso anche Alice) con la legge approvata non hanno la possibilità di far valere i loro diritti.
E avrei anche voluto spiegarle con calma che si chiamano unioni civili e non matrimonio, e che forse sembra una differenza sottile ma non lo è… ma ero già stanco e scoraggiato… e non l’ho fatto, lo confesso.

Il messaggio che è passato – dunque – è quello che le persone gay e lesbiche hanno ottenuto quello che chiedevano, e allora che spazio c’è nella società per continuare a rivendicare ciò che ci spetta?
Quello che doveva essere solo un primo (importantissimo certo) step, rischia dunque di trasformarsi per noi in una trappola, tanto più se l’associazionismo (a parte Famiglie Arcobaleno e pochi altri, che certo hanno numeri modesti rispetto ad altre realtà) non sembra voler dettare a breve agende alla politica.

Siamo alla festa, ma non siamo invitati come gli altri

Io lo so che anche in assenza di una legge che ci tuteli le nostre famiglie andranno avanti, con ostinazione, talvolta con la forza della disperazione.

Eppure non riesco a togliermi dalla testa la lettera di una madre lesbica letta a Caltanissetta un anno fa.
Anche io e mio marito abbiamo trascritto il nostro matrimonio poche settimane fa, eppure provo gli stessi sentimenti che immaginavo alcuni mesi fa: è come se “mi avessero fatto finalmente entrare ad una festa bellissima – pagata in egual modo da tutti i partecipanti – dopo ore e ore di attesa, mentre gli altri sono stati dentro fin dall’inizio. Invece che farmi entrare dall’ingresso principale come gli altri sono dovuto entrare dal retro e posso mangiare tutte le tartine tranne quelle al salmone (mentre gli altri possono) e cosa ben peggiore i miei figli non hanno diritto di partecipare alla festa, mentre quelli degli altri sono lì e si divertono.

Come pensate che io possa davvero festeggiare, essere felice, sentirmi pienamente accettato e voluto alla festa?”

Non smetterò di lottare per i miei diritti e soprattutto per quelli di Luca e Alice e di tutti gli altri bimbi arcobaleno… perché significherebbe smettere di amare.

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