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L’ONU elogia i passi avanti in Asia e avverte: “Occupiamoci della terza età Lgbtqi”

Una relazione dell’Ente delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere e l’empowerment femminile (UN Women) sul “progresso delle donne del mondo nel 2019-2020” ha sottolineato l’importanza della depenalizzazione dei rapporti omosessuali da parte della Corte suprema dell’India.

“Grandi progressi”

La relazione prende atto che la Corte ha eliminato “una clausola risalente al periodo coloniale che criminalizzava le relazioni tra lo stesso sesso“. Per quanto riguarda le battaglie della comunità Lgbtq per ottenere i propri diritti, la relazione osserva che “grandi progressi sono stati fatti in Europa, America settentrionale, America latina, Caraibi, Australia e Nuova Zelanda” e, recentemente, anche in Asia.

La decisione storica di Taiwan

Oltre alla decisione presa in India, a maggio di quest’anno a Taiwan è passata la prima legge che permette il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Questa svolta è avvenuta sulla scia degli avvenimenti di due anni fa, quando la Corte costituzionale taiwanese osservò che il codice civile era incostituzionale nella sua definizione di matrimonio come unione tra uomo e donna, perché discriminava in modo implicito il matrimonio tra coppie dello stesso sesso.

La strada da fare

“Recentemente ci sono stati riconoscimenti verso unioni dello stesso sesso nel diritto di famiglia, nonostante i progressi siano stati difficili e incostanti. Da quando i Paesi Bassi hanno fatto il primo passo nel 2001, oggi ci sono 42 paesi e territori nel mondo in cui coppie dello stesso sesso possono sposarsi o ottenere unioni riconosciute legalmente”, riporta la relazione. Tuttavia 68 paesi hanno ancora leggi che criminalizzano in modo esplicito le relazioni sessuali consensuali tra partner dello stesso sesso, e in undici di questi paesi queste relazioni sono punibili con la morte.

Occuparsi della terza età

Il rapporto dell’organismo Onu ha anche sottolineato le difficoltà delle persone più anziane della comunità Lgbtq. “E’ più probabile che queste persone vivano da sole, siano single, non abbiano figli e non siano in contatto con le loro famiglie biologiche rispetto a membri della comunità più giovani. Ciò significa che le cure necessarie per i membri anziani della comunità Lgbtq che verrebbero in altre condizioni fornite da figli, compagni o parenti non vengono ricevute. Fondi statali per la cura di queste persone dovrebbero essere una priorità”, ha concluso la relazione.

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