Ciro e Maria Paola sono vittime di omotransfobia e misoginia. Non sappiamo molto della loro relazione, possiamo solo leggere tra le righe, mal scritte, dei resoconti riportati da alcuni quotidiani che questa è la ragione che ha spinto il fratello di Maria Paola, Michele, ad inseguirla mentre era a bordo del suo scooter, speronarla e provocare l’incidente che ha portato alla sua morte e al ferimento di Ciro, il suo ragazzo. Dopo l’incidente, invece di soccorrere la sorella, Michele si è scagliato contro Ciro, colpendolo con violenza. I fatti sono successi sabato scorso a Caivano, in provincia di Napoli. Ciro è ricoverato, ma non è in gravi condizioni. Maria Paola è morta. Aveva 20 anni.
Interrogato dai Carabinieri, Michele Gaglione ha risposto: “Non volevo uccidere nessuno, ma dare una lezione a mia sorella e soprattutto a quella là che ha infettato mia sorella che è sempre stata normale”.
“Quella là” sarebbe Ciro di cui Michele non riconosceva l’identità di genere e continuava a chiamare al femminile. E Ciro avrebbe “infettato” Maria Paola perché avevano una relazione che Michele proprio non accettava. Una relazione che li stava portando a convivere. Ma che lui, il fratello maschio, doveva “correggere”.
Malattia, infezione, anormalità sono le parole chiave che danno un nome preciso a tanto odio: omotransfobia.
Le righe mal scritte, dicevamo, delle cronache locali. Ancora una volta questa ennesima storia di odio e violenza contro le persone lgbt+ viene raccontata con parole confuse, sbagliate e violente. Perché ogni volta che si nega una relazione (“l’amica”) o l’identità di una persona (“da un po’ di tempo si fa chiamare Ciro”) si esercita l’ennesima violenza, per quanto inconsapevole. E si contribuisce ad alimentare lo stigma sulle persone lgbt+: due donne che stanno insieme hanno una relazione, non sono “amiche” e per una persona che si identifica con un genere diverso da quello attribuito alla nascita si usa il genere eletto. “Si fa chiamare” non fa altro che negarne l’identità e fare apparire tutto come un capriccio.
Non è la prima e purtroppo non sarà l’ultima volta in cui le persone lgbt+ non solo sono vittime di violenza fisica, ma anche di racconti tossici. Lo stesso, gigantesco, circolo vizioso che si autoalimenta e che deve essere scardinato.
“Approviamo presto, per il bene di questa povera patria, la legge contro la misoginia e l’omotransfobia – è il commento di Sergio Lo Giudice, ex presidente di Arcigay ed ex senatore PD -, e investiamo sulla cultura, sulla formazione, sulla scuola. Altrimenti faremo troppa fatica a sortirne”.
Michele Gaglione, inizialmente accusato di lesioni personali, morte come conseguenza di un altro delitto e violenza privata, ora dovrà rispondere di omicidio preterintenzionale e violenza privata.
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