Vi diamo una notizia: le guerre scoppiano in società prevalentemente eterosessuali. E, ancora, chi le determina non va in giro a dire di essere gay o lesbica, il più delle volte. Immaginiamo, allora, di mettere mano ai libri di storia e leggere che nel 1914, dopo l’attentato di Sarajevo, scoppia la prima guerra mondiale. Ma siccome è eterosessuale nella dinamica che l’ha creata, allo stesso tempo, possiamo chiamarla “eteromondiale”. Perché se basta l’orientamento a determinare la “qualità” di un fenomeno, l’aggettivo corrispondente dovrebbe valere anche in caso di conflitto. A Sarajevo venne ucciso un arciduca, che era lì con la moglie. E il suo carnefice? Non si ha notizia che fosse gay. In tal caso, inoltre, si potrebbe parlare di attentato a sfondo etero. Come tutti quelli organizzati dall’Isis, a ben vedere.
Se un gay uccide un altro gay è un omicidio maturato in ambiente omosessuale, giusto? Bene, allora tutto il resto dei delitti va catalogato come insieme di fenomeni che nascono e si consumano in ambienti rigidamente eterosessuali. Come il delitto di Cogne, se vogliamo. Infanticidio consumato in famiglia tipicamente tradizionale, se vogliamo variare un po’ con le scelte lessicali. Così come alla “tradizione” si dovrebbero collegare delitti come quello dei coniugi di Erba, per allargare il campo a tutti gli ambiti della norma condivisa. Insomma, sono di più gli omicidi e gli assassinii consumati nel mondo eterosessuale che quelli del solito (e magari anche torbido?) ambiente gay. Eppure nessuno lo dice.
Come dite? È folle e assurdo tutto questo? È vero, avete ragione. Un delitto è un delitto, nasce in determinate circostanze e si consuma attraverso dinamiche specifiche. Come si è già detto, e più volte, legare l’identità sessuale di chi compie un reato al reato stesso induce l’utente standard a percepire quella stessa identità come foriera di atti criminali. Pensiamo a cosa viene detto contro i migranti tutte le volte che ad investire un pedone è “un rumeno” o a violentare una ragazza è “un senegalese”. Se parli di “omicidio in ambiente gay”, si crederà che negli ambienti frequentati dalle persone Lgbt – e quali, poi? Discoteche, associazioni, librerie, saune, negozi, altro? – si consumano certi delitti. E lo scopo dell’informazione non è generare mostri, ma raccontare fatti. Dare l’idea che in un gruppo specifico è più facile che si verifichino certe situazioni non solo è sbagliato, è pure falso. E quindi non è informazione. Ditelo al Mattino.it e anche a tutti gli altri.
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