Il dibattito sulla famiglia sta attraversando il nostro paese, negli ultimi anni, nelle forme e nei modi che conosciamo. Da una parte, qualcuno la definisce costringendola nel recinto di una visione confessionale ed escludente. Dall’altra, c’è chi ci racconta storie diverse, come è diversa l’umanità messa in gioco quando decidi di crescere un bimbo o una bimba. Ma cosa accade nel mondo reale, rispetto a tutto questo? Oggi che è la “festa del papà”, sono andato in giro a fare qualche domanda.
Poi le cose cambiano, di punto in bianco: «La compagna di una mia cara amica mi ha scritto un messaggio, che mi ha messo piacevolmente sottosopra: “che ne dici di fare una famiglia intelligente?”» Dopo averci riflettuto a lungo – perché non si diventa genitori con la leggerezza con cui si sceglie un capo di abbigliamento, ai saldi – quel sogno si concretizza. «Abbiamo deciso di provarci in “modo casalingo”, non volevamo medicalizzare un evento così speciale: dopo pochi tentativi Francesca è rimasta incinta». La bambina di Federico oggi ha tre genitori: «una mamma ed un papà e la compagna della mamma. Ha quattro nonni innamorati e due case». E soprattutto, la possibilità di conoscere tutto questo.
Mi chiedo (e gli chiedo) cosa ha pensato quando ha dovuto mettere in relazione il suo concetto di genitorialità con modelli che non appartenevano al suo sistema di esperienze e di valori: «Le norme sono nell’occhio di chi guarda. Io sono un padre completamente diverso da come lo è stato il mio. Se io fossi gay non cambierebbe un fico secco. La mia sessualità non conta assolutamente nulla nel rapporto con le mie figlie. Non le riguarda, così come la loro non riguarda me. Conta l’arte, l’amore, la musica, la passione per la natura, il rispetto reciproco, l’allegria, il cazzeggio… e mille piccole grandi cose». Conta l’arte e l’amore, quindi. Un sentimento di bellezza profonda. E, quindi, il rispetto reciproco.
A sentire tutti loro, essere padri coincide con una straordinaria storia d’amore: «L’esperienza più forte che ho fatto quando sono diventato padre» dice ancora Rubera «è stato rendermi conto che inevitabilmente, e quasi spontaneamente, ti sgorgano dal profondo delle risorse, che non ho fatica a chiamare materne». Risorse che trova chiunque si relazioni con un bimbo appena nato, «che dipende in tutto e per tutto da te». Questa la sua scoperta più incredibile, «oltre a prendere coscienza di cosa significhi essere genitori: una cosa enorme, che si apprende solamente dopo esserlo divenuti». E questa esperienza si coniuga nella vita di tutti i giorni: «I nostri rapporti con le altre famiglie, i vicini, la pediatra, i genitori dei compagni di classe, i professori, sono assolutamente identici».
Lino Manfredi e la sua famiglia
E poi ci sono anche i genitori delle persone Lgbt. E quando questo accade, devi ridefinire il perimetro dell’essere padre un’altra volta, come è successo a Lino Manfredi, tra i fondatori dell’Agedo di Torino e adesso esponente di Geco Onlus, associazione di genitori e figli nata nel 2016 per combattere l’omo-transfobia. La sua storia l’ha raccontata nel film-documentario Due volte genitori, in cui parla del suo rapporto col figlio Andrea. «Non ho mai avuto ostilità contro l’omosessualità. A Torino quando alla libreria di Angelo Pezzana venivano personaggi come Fernanda Pivano o Allen Ginsberg andavo per l’amore per la letteratura, ma non mi interessava la questione in sé». Fino a quando l'”imprevisto” non entra nella propria vita.
«Partiamo tutti una presunzione di eterosessualità, per i nostri figli». Quando arriva il momento del coming out il mondo, improvvisamente, ti appare in una nuova luce. E cominci a farti delle domande. «Ti viene la paura del futuro, ti chiedi che cosa sarà di tuo figlio, se verrà emarginato. Le attese familiari crollano. Cominci a chiederti in cosa hai sbagliato, nell’educarlo. Ti tiri fuori le cose più assurde, ti chiedi se non lo hai portato a giocare a pallone abbastanza». E dopo questa tempesta del dubbio, arriva la luce dell’arcobaleno. «Ho guardato mio figlio per quello che era. Ho visto in lui il ragazzo che avevamo cresciuto, io e mia moglie, con i suoi valori, i suoi interessi». Lui, Andrea, era lì. In quel “qui ed ora”, bisognava solo ritrovarsi.
Quando Lino seppe di Andrea, gli consegnò una lettera: “Sarò al tuo fianco per amarti ancora più prima, e tu mi sarai da guida. Ma devi lasciare il tempo per cambiare me stesso”, c’era scritto. «Perché il cambiamento riguardava noi, mio figlio era stato sempre se stesso. Ero io che non riuscivo a vedere chiaramente la sua identità». Poi, i primi passi, quel venirsi incontro nonostante le difficoltà. «Abbiamo cominciato a fare l’unica cosa che un genitore fa quando ama suo figlio: cominciare a capire». Per recuperare il tempo necessario. Per rincontrarsi e riconoscersi. E, quindi, ritrovarsi per sempre.
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